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Giovedì 26 Settembre 2013 - ore 21:00 - Auditorium San Dionigi di Vigevano

"L'ultima cima" le ragioni della fede in un film

Proiezione del film-documentario
“L'ultima cima”, di Juan Manuel Cotelo

"L'ultima cima" le ragioni della fede in un filmPrivo del sostegno di case di produzione e distribuzione, e senza spendere neanche un euro in pubblicità, “L’ultima cima” si è diffuso nei cinema spagnoli a macchia d’olio grazie al passaparola. Uscito in sole quattro sale a Madrid, nel giro di dieci giorni era già presente in ottanta sale e, dopo altre due settimane, veniva proiettato in 168 cinema in tutta la Spagna, dove nel 2011 ha vinto il premio del Cinema Writers Circle Awards per il miglior documentario.

Per don Pablo Domínguez, che amava così tanto la montagna da definirla “un’anticamera del Cielo”, l’ultima cima è stata quella del Moncayo – l’unica vetta che gli restava da conquistare del sistema Iberico. In quell’ultima escursione, infatti, don Pablo ha incontrato “sorella morte”.

Quando nel 2009 apprese dal telegiornale la notizia della sua morte, il regista Juan Manuel Cotelo rimase colpito: solo pochi giorni prima, infatti, aveva conosciuto don Pablo, al termine di una sua conferenza (il sacerdote insegnava alla facoltà di teologia di San Dámaso, a Madrid), e aveva chiacchierato con lui per pochi minuti. Un incontro avvenuto quasi controvoglia, che Cotelo aveva accettato più che altro per vincere l’insistenza di un amico che continuava a ripetergli: “Devi assolutamente conoscere don Pablo”. La notizia di quella morte improvvisa spinse Cotelo a riguardare il filmato della conferenza, un intervento in cui don Pablo, con uno stile accattivante, parlava del rapporto tra l’uomo e Dio e della “ragionevolezza della fede”.

L’ultima cima parla di questo, della “ragionevolezza della fede”, attraverso il ritratto di un sacerdote che era innanzitutto – e a volte i mass media tendono a dimenticarlo, quando parlano della Chiesa – un uomo. Il documentario è incorniciato dalle parole del regista che presenta la figura atipica, nella sua normalità (è un paradosso, ce ne rendiamo conto), di un sacerdote che semplicemente ha preso sul serio la sua missione; un uomo talmente innamorato di Cristo da essere di conseguenza amante ardente delle necessità e delle fragilità di qualunque essere umano. Nelle interviste, il regista ha raccontato la sua avventura dello spirito e come da cristiano tiepido si sia riappassionato alla vita di fede, proprio grazie alla scoperta di questa figura. “Ero cristiano da sempre – ha raccontato – ma era come se vivessi in cima alle Dolomiti, chiuso nel rifugio di montagna senza mai mettere il naso fuori”. Fondamentale, la differenza tra adesione e conversione: “Se conoscere don Pablo ha provocato in me questo cambiamento, ho pensato che girare un film su di lui potesse avere lo stesso effetto positivo sugli altri”.

Per farlo, Cotelo ha raccolto testimonianze e racconti di quanti hanno avuto a che fare con lui (al suo funerale erano presenti tremila persone, tra cui ventisei vescovi), e ne sono stati colpiti, amati, raggiunti fino nei bisogni più intimi del proprio cuore. Non ne emerge un santino, un’oleografia, né tanto meno un ritratto etereo o spiritualista. “Per credere in Dio – diceva sempre don Pablo – bisogna usare la testa”. Tutto, nel film, parla della semplicità di un incontro, della convenienza della fede, della gioiosa familiarità con Cristo, una familiarità che arrivava fino all’abbraccio della croce (don Pablo aveva problemi cardiaci e due ernie: in sette anni era stato ricoverato in ospedale una quarantina di volte, senza che questo fosse un impedimento a donarsi completamente agli altri). Soprattutto, si parla della disarmante semplicità con cui ognuno di noi può incontrare Cristo nelle circostanze della propria vita. Don Pablo era senz’altro un uomo carismatico, che entrava facilmente in empatia con le persone, ma il documentario è chiaro nel dichiarare che non bisogna possedere doti uniche e particolari per svolgere correttamente la propria missione pastorale. Insomma, è l’essere prete – questo il senso del film – che ha consentito a don Pablo di usare il proprio carisma, e non il contrario. Quando in una trasmissione radiofonica gli chiesero di mettere in ordine d’importanza le sue qualifiche tra: “sacerdote, teologo, filosofo”, don Pablo rispose, “sacerdote, sacerdote, sacerdote”.

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