Domenica 20 Luglio 2014 - Corriere della Sera
Derivati e soldi a Gibuti, la Fondazione di Piacenza nel caos
Il caso: L'investimento a Parma costato 50 milioni. I dubbi sulla reale consistenza del patrimonio. Il presidente e il cda che si sfiduciano a vicenda
La vicenda dei titoli da 200 milioni parchheggiati «per sbaglio» in Svizzera. Il denaro perso in una banca africana
Meriterebbe di essere raccontata la storia della Fondazione (ex bancaria) che ha investito in una banca privata del Gibuti. O la manovra del parcheggio «per sbaglio» di 200 milioni in Svizzera. E quell'altra vicenda dei milioni (decine) «bruciati» in una banca in crisi con 500 anni di storia (e non è Mps)? Senza dimenticare il caso di chi si è riempito di derivati, compreso il famigerato prestito «fresh» di Montepaschi. C'è chi ha portato in tribunale Jp Morgan e l'ex consulente agli investimenti (Prometeia) per un affare andato male. E poi i dubbi sulla reale consistenza del patrimonio (342 milioni) e la guerra tra presidente (ingegnere) e vicepresidente (banchiere), nati lo stesso giorno 72 anni fa. Sembra impossibile ma tutto è successo e succede alla Fondazione di Piacenza e Vigevano. Il suo «tesoro» ha origine dalla cessione a Banca Intesa della partecipazione in Cariparma (oggi del Credit Agricole). E la cassaforte della città emiliana (con Vigevano componente di minoranza), espressione di comuni, provincia, Camera di commercio, diocesi, università, volontariato. È il motore di tante attività sociali e culturali. Ora è in stallo, quel tipo di stallo che assomiglia alla paralisi, come si sente dire alla trattoria La carrozza, uno dei luoghi d'incontro del potere cittadino. Punto di partenza è lo statuto: il patrimonio deve essere amministrato con prudenza e gli investimenti legati al territorio. Prudenza? Il bilancio negli anni scorsi, e con la precedente gestione, si era caricato di derivati (su Mps, Intesa e Unicredit) e di titoli strutturati particolarmente complessi. Smontarli o sminarli ha prodotto perdite e allungato scadenza, immobilizzando patrimonio. Ma più di tutte ha pesato la scelta nel 2008 di tornare ad investire in una banca: il 15% (72 milioni) di Banca Monte di Parma (nata nel 1488). Timing sfortunato, superficiale la due diligence (verifiche dei conti), nessuna tutela contrattuale, Banca Monte totalizzerà 180 milioni di perdite, salvandosi dal crac solo grazie all'opera di pulizia e «ripascimento" (costata ben 800 milioni) di Intesa Sanpaolo che ne aveva assunto il controllo. Per i piacentini è stato uno «scherzo» da 50 milioni, 28 di svalutazione solo nell'ultimo bilancio. Un'enormità per chi ha un monte erogazioni annuo di circa 5 milioni. Parma è a un tiro di schioppo, ma Gibuti? In effetti lo staterello africano all'estremo sud del Mar Rosso, 5 mila chilometri da Piacenza, non sembra essere quel territorio che la Fondazione dovrebbe sostenere. I soldi finirono in una holding lussemburghese e da qui deviati alla «Banque de Dépot et de Crédit Djiboutu». Un milione investito, un milione perso, azzerato nel 2011. «Operazione filantropica», si disse. Poi si scopre che la banca è privata, di un certo Michel Torielli, svizzero, titolare della Swiss Financial Investments. L'anno scorso si tenta la sterzata. Arriva alla presidenza Francesco Scaravaggi, ingegnere, nominato da una maggioranza risicata, uomo fuori dai circuiti politici. Ma subito scoppia il giallo del pacchetto di titoli da 200 milioni prelevato dal conti bancari e parcheggiato in Svizzera su un conto della Julius Baer con lo scopo di ottenere una proposta di investimento. Possibile? Ma nel2014 per ottenere una proposta si devono trasferire materialmente i titoli? Sta di fatto che su questa operazione viene licenziato il direttore della Fondazione che però fa causa e accusa: il consiglio sapeva. Nel frattempo 5 consiglieri della Fondazione su 7 entrano in rotta di collisione con il presidente che, per altro, è colui che li ha scelti perché così prevede uno statuto piuttosto stravagante. I frondisti affermano di puntare a maggior trasparenza e regole nuove di governance. Il presidente sente aria di golpe interno. Suo «nemico» è il vicepresidente Beniamino Anselmi, banchiere super navigato, ex amministratore delegato di Cariparma, Bipop, Banco di Sicilia. Si arriva alla rottura totale. Il numero uno chiede l'azzeramento del cda, che il consiglio generale gli nega. Dunque annuncia le dimissioni: «Me ne vado a casa a curarmi la gastrite che mi ha fatto venire la Fondazione». Le dimissioni però restano nel cassetto e la gastrite stazionaria. Dunque oggi a far la guardia alla cassaforte piacentina da 342 milioni c'è un presidente sfiduciato da un cda che lui stesso ha sfiduciuto. In questo clima di sfiducia circolare e collettiva, città e istituzioni cercano un presidente di garanzia per uscire dall'impasse. Il sindaco di centrosinistra Paolo Dosi e il presidente della provincia, Massimo Trespidi sembrano convergere sul nome del presidente dei notai, Massimo Toscani. «Sarebbe la scelta giusta ma che si faccia presto», afferma il piacentino Corrado Sforza Fogliani, presidente Confedilizia. Intanto, però, «sarebbe logico - sostiene il sindaco - che tutto il consiglio della fondazione si dimettesse». Anselmi, il numero due, non molla: «Vogliamo che la Fondazione sia una casa di vetro». «D'accordo - sottoscrive il numero uno - ma non si impongono le regole con i colpi di mano e non si relega il presidente a tagliare i nastri». Il nocciolo della questione, tuttavia, è la reale consistenza del patrimonio: 342 milioni è il valore contabile. Quello reale lo stabilirà una perizia.
Mario Gerevini