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Mercoledì 2 Luglio 2014 - Libertà

Vibrazioni del cuore: firmato Tuck & Patti

Il cortile di Palazzo Rota Pisaroni preso d'assalto per il grande duo che ha aperto Summertime in Jazz

di PAOLO SCHIAVI
In quel cortile, troppo piccolo per contenere tutto il pubblico, Tuck & Patti hanno celebrato un rito catartico. Non un concerto ma la nuova, sacrale tappa di una leggenda immortale. Il tempo per loro sembra non passare mai. C'è qualcosa di unico nell'alchimia artistica e sentimentale che li lega e che li unisce al pubblico. E' una magìa, una fantasmagoria di sensazioni difficile da descrivere. Questione di energia e di vibrazioni.
Quanto alla cronaca più spicciola, Summertime in Jazz, la nuova rassegna estiva organizzata dal Piacenza Jazz Fest e finanziata dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano, lunedì sera nel cortile di Palazzo Rota Pisaroni, sede dell'ente, ha messo a segno una partenza indimenticabile. La gente si è assiepata fino in strada per ascoltare. Certo, non è mancato qualche mugugno ma i più hanno resistito, stretti come sardine, praticamente abbracciati gli uni agli altri e alla straordinaria coppia di artisti americani, in una condizione a dir poco intima che forse, in fondo, è stata l'ideale per strappare dal concerto e dalla situazione ogni centimetro di calore, ogni briciola di bellezza.
Se Patti è esattamente ciò che la sua voce trasmette - l'amore del canto di una madre, la carica seduttiva del sussurro di un'amante, la sacralità del gospel, l'irruenza dello scat - Tuck è riuscito a smentire la sua fama di uomo schivo e poco loquace, scherzando direttamente col pubblico al momento di introdurre i suoi due esaltanti assoli della serata, Man in the mirror di Michael Jackson ed Europa di Santana, premiati da applausi infiniti. La sua tecnica è quella di sempre, un fingerpicking che combina pratiche jazzistiche alla Wes Montgomery e sforbiciate gipsy, modalità percussive e un uso inedito dei volumi, il tutto miscelato in uno stile unico - capace di gestire magistralmente la continua alternanza tra parti soliste, accompagnamenti e linee di basso - che gli ha garantito un posto nell'olimpo dei chitarristi insieme alla sua inseparabile Gibson L5 del '53. Tanto le note sprigionate da lui quanto i vocalizzi di lei affiorano, emergono, sgorgano misteriosamente, si plasmano nell'aria con una forza, una pulizia e una leggiadrìa impareggiabili. Una timbrica inscindibile e vellutata che è il loro marchio di fabbrica da 35 anni, capace di toccare l'anima e di smuovere le corde più intime di ciascuno.
Il loro concerto, mirabilmente sospeso tra raffinatezze jazz, soul, ondeggiamenti blues, gospel e pop, è in pratica una lunga serenata reciproca, una dichiarazione d'amore eterno donata al cuore di ogni spettatore. Tra i passaggi da ricordare, l'apertura con Summertime, dedica di buon auspicio al festival, e I will dei Beatles, ripresi nei bis con Honey pie insieme al medley hendrixiano di Little wing e Castle made of sand. Ancora: il commovente spiritual His eye is on the sparrow, una toccante My romance e l'abisso emozionale suscitato da Learning hot to fly. Qualche flash in ordine sparso? Patti che si leva i tacchi sgargianti in tinta con l'abito e rimane scalza. Il sorriso enorme che rivolge ad ogni spettatore ruotando continuamente su se stessa. Il coro da brividi orchestrato sul finale della loro cover più celebre, l'immancabile Time after time. Il bigliettino coi nomi di tutto lo staff, ringraziati in un momento di ineguagliabile dolcezza. Dimentichiamo certamente qualche passaggio, ma questo può bastare a rendere l'idea di quante good vibes ci siamo portati a casa. E ne avvertiremo l'onda lunga per un bel pezzo.

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