Lunedì 9 Giugno 2014 - Libertà
Bester Quartet, musica errante
Un concerto di grande nitore e poesia
di PAOLO SCHIAVI
Letteralmente incastonato tra i verdi rampicanti rigogliosi, i muri di pietra e i portici del cortiletto interno del meraviglioso parco di Castel Mantova, il polacco Bester Quartet ha inaugurato a Campremoldo Sotto di Gragnano la 17ª edizione del Valtidone Festival con un concerto di grande nitore e poesia. Un repertorio di brani originali che sarebbe fuorviante ascrivere esclusivamente al klezmer: arrangiamenti deliziosi e sofisticati da assaporare senza pregiudizi, perché capaci - stilemi tipici degli "shticks" ebraici a parte - di suonare argentini, francesi o balcanici. Questa è la grande jazz/world fusion, bellezza.
Insomma, un avvio lusinghiero per il festival di Livio Bollani. E' stato lui a fare gli onori di casa, ringraziando la generosità della famiglia Prati-Molinaroli - che anche quest'anno ha gentilmente messo a disposizione la splendida location per il concerto inaugurale della rassegna - e invitando ai saluti di rito il sindaco di Gragnano Patrizia Calza e il presidente della Fondazione di Piacenza e Vigevano Francesco Scaravaggi, prima di lasciare spazio al concerto: «una proposta espressamente pensata per l'intimità di questo luogo - ha detto rivolgendosi ad una platea foltissima - che ogni anno sembra più piccolo perché voi siete sempre più numerosi. Sentirete che concerti come questo hanno bisogno di essere respirati assieme ai musicisti».
Vero. Quella sprigionata dal quartetto del fisarmonicista Jaroslaw Bester, naturale evoluzione della celebre Cracovia Klezmer Band, è musica che palpita. Che ansima sentimento e sfumature preziose ad ogni battuta. Da assaporare con il cuore aperto e la mente disponibile. Musica errante, per viaggiare. I richiami al tango hanno primeggiato, serpeggiando per tutta la durata della performance e mostrandosi come chiara matrice di riferimento, per la disinvolta, sulfurea ma discreta fisarmonica di Bester, il violino schioccante, affilato e accorato, pirotecnico e orchestrale di Jaroslaw Tyrala, le percussioni frementi ma garbate di Oleg Dyyak e il contrabbasso mobilissimo e canterino di Mikolai Pospieszalski. Un combo capace di spremere una carica emotiva travolgente attraverso un mellifluo svuotare e riempire, un ipnotico saliscendi sapientemente orchestrato tra "crescendo" rutilanti pronti a sfumare in "pianissimo" tenui e delicati, parentesi struggenti e solari impeti vitali, senza risparmiare giocosità immaginifiche e movenze da colonna sonora, misurate dissonanze nelle fasi improvvisative più vicine al jazz e virate ancestrali di dolente sacralità alternate a cavalcate orchestrali galvanizzanti.
Il klezmer come spunto di partenza per esplorare senza alcuna riverenza stilistica territori anche distanti tra loro, dal folk e dalle radici popolari della Mitteleuropa ai lasciti della tradizione ebraica, mescolati all'heritage tipico della musica parigina e alla malinconia del tango argentino, senza trascurare il piacere di abbandonarsi ad esplosioni ritmiche a tutto gas giocate su virtuosismi vorticosi capaci di abbracciare sperimentazione e improvvisazione jazzistica e tribalismo. Tutto questo, governato da un rigore esecutivo e formale di stampo classico che ha disteso sull'intera performance una patina setosa di eleganza e raffinatezza perfettamente bilanciata da grandi qualità comunicative. Quelle di una musica fatta per essere ascoltata e goduta con la testa e con il cuore, composta da armonie delicate, contrappunti certosini e sanguigni e melodie arrivabili, talvolta cantabili, a tutto vantaggio del piacere d'ascolto. Un appagamento certificato dagli scrosci di applausi che il pubblico ha regalato al quartetto, e ricambiato con ben due bis.