Mercoledì 28 Maggio 2014 - Libertà
Poesia, la parola che si fa musica
Autori piacentini, in lingua e dialetto, nell'antologia "Piacenza Poesia"
di BETTY PARABOSCHI
C'è chi ha deciso di scrivere in italiano e chi invece è ricorso al dialetto. Chi ha rappresentato un vero e proprio punto di riferimento nel panorama della poesia piacentina e chi invece fa parte di una generazione più giovane. Sono i poeti "all'ultimo chilometro della via Emilia" che la casa editrice Scritture ha raccolto nella bella antologia Piacenza Poesia, presentata all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano da Attilio Finetti e Luigi Paraboschi.
Proprio loro infatti risultano inseriti nella raccolta insieme a Umberto Fava con dei contributi critici: il resto invece è costituito dai componimenti di alcuni poeti piacentini, fra cui Claudio Arzani, Alberto Bellocchio, Ferdinando Cogni, Giampaolo Bulla, Italo Testa, Bruna Milani, Pino Ballerini, Rino Bertoni, Paolo Maurizio Bottigelli, Luciano Ferrari, Stefano Gentile, Stefano Ghigna, Enrica Lisoni, Mirco Maffini, Daria Menicanti, Massimo Silvotti, Franco Toscani, Nello Vegezzi, Gianni Zambianchi e Gianni Zilioli. A leggerli, in Fondazione, sono stati Simona Maffini, Corrado Calda e Gianni Zambianchi.
«Si tratta di una raccolta che annovera poeti "storici" come Cogni, Vegezzi, Maffini e Ballerini e autori più giovani che si sono avvicinati alla tradizione novecentesca o hanno sperimentato dei moduli linguistici nuovi» ha spiegato Finetti.
«Una nota a parte la meritano invece i tre che hanno espresso la loro ispirazione usando il mezzo dialettale come Cogni, Maffini e Zambianchi». Proprio su questi ultimi si è focalizzato Paraboschi: «Il dialetto è una lingua che non ci consente di fare filosofia, ma poesia - ha spiegato -, una lingua che fra l'altro è cambiata: alcune parole si sono perse, altre se ne sono aggiunte. Ma la lingua si è mantenuta e nonostante possa sembrare all'orecchio piuttosto dura, in realtà sa diventare poesia: lo dimostrano Maffini con il suo dialetto di Soarza, Zambianchi con quello intramurario. Sono loro i maestri nel fare di questa lingua strana e nata per le fatiche quotidiane e le tribolazioni una musica che poi risulta difficile magari da decifrare, da leggere. Eppure la sensibilità e la sensualità estrema che connota l'uso di questa lingua da parte di Cogni, Maffini e Zambianchi sono innegabili: si rintraccia subito nella loro volontà di mantenere viva non solo una lingua, ma addirittura una civiltà portata nel 218 avanti Cristo dai romani che l'hanno costruita sulla "glavea", che altro non è se non la nostra "gerra" ossia la ghiaia. Solo così questa lingua antica si può fare portavoce di una considerazione esistenziale sulla drammaticità della vita e sulla bellezza della natura».