Giovedì 1 Maggio 2014 - Libertà
Cogni, scritti e aforismi sulla dignità dell'uomo
Esce per Mattioli la nuova raccolta "Prose di un poeta"
di PATRIZIA SOFFIENTINI
Il poeta? E' semplicemente un telefonista in ascolto, tanto più bravo se è fine d'orecchio. Così scrive Ferdinando Cogni in un suo aforisma, esaltando il gesto di sismografo della realtà: preciso, netto, essenziale, introspettivo e proteso, qualità che furono del suo stile anche in prosa, come l'esaltazione del tacere, arte che tributava all'amato Cardarelli.
Se ne può avere efficace testimonianza nel curatissimo volumetto Prose di un poeta (Mattioli 1885, 131 pagg., 10 euro) frutto della seconda raccolta tratta dal lascito letterario di Cogni dopo La voce dell'arte edita nel 2012. Ancora una volta, firmano questo gesto d'affetto, sostenuto da una salda consapevolezza del valore, gli amici "sentinelle di memoria": Claudio Vela, Stefano Pareti, Gianfranco Asveri e Gianfranco Negri.
In copertina, un acquerello magro dello stesso Cogni, datato 1945, dilava la struttura di una casetta nelle poche ombre necessarie a comporla.
Eccoci a un'altra tappa di quella emersione dell'opera omnia che prosegue in vista del 2019, anno del centenario della nascita dell'autore. Ne parliamo con Vela che insieme agli altri curatori domenica 4 maggio (alle 17.30) alla Fondazione di via S. Eufemia presenterà il volume.
Il secondo anello di una catena, il secondo passo della collana dopo gli scritti d'arte. Altra prosa.
«Cogni si considerava, ed è stato, un poeta, ma maneggiava con grande sapienza stilistica poesia e prosa, anche se quantitativamente ha scritto meno in prosa rispetto alla poesia».
La misura stilistica della prosa ha la stessa rapidità intensa e concisa della poesia?
«Il titolo Prose di un poeta vuol essere eloquente. C'è un soffio poetico. Le prose sono brevi, due pagine al massimo come per il ricordo di Camillo Sbarbaro e Piero Jahier. Anche in prosa c'è l'aforisma, l'osservazione fulminea, la scheggia d'impostazione filosofica, l'influsso della poesia, la capacità e la ricerca della concentrazione. Nessun dispiegamento narrativo, intreccio o storia, ma quello che Saba definiva in un suo titolo Scorciatoie e raccontini. C'è lo Sbarbaro dei microlibri (Trucioli, Contagocce) e il Nietzsche di Così parlò Zarathustra, oltre a Croce».
Appartato, conscio della sua opera ma quasi noncurante, a volte, nel diffonderla.
«Cogni si rivela scrittore di grande dignità. Più di quanto non sia stato riconosciuto in vita e più di quanto lui stesso abbia voluto. Queste sono prose sparse, divise tra edite e inedite. Nelle prose edite ci sono, per esempio, gli scritti giornalisti che risalgono al 1942, quando collaborò al quotidiano "La Scure" con articoli di critica d'arte, aveva solo 23 anni. E ancora: editoriali per libri, brevi prose che rivelano sempre la "zampata" dello scrittore, testi dalla rubrica Per non dormire, che uscì su quattro numeri del "Nuovo Giornale" nel 1987. E c'è il pezzo forte delle prose dal libro Sequenza per la madre, bellissimo, di grande formato, pubblicato 1989 per ricordare sua madre. Conteneva sei litografie acquerellate di Asveri, le nove prose che proponiamo e dieci poesie, poesie che abbiamo riprodotto in breve alla fine del volume. C'è il raccontino su Sbarbaro e una scheda autobiografica».
Le prose inedite cosa presentano?
«Un altro punto forte sono due raccolte inedite: La Poesia, ma sono prose, e Un po' di prosa. Cogni, che aveva buona manualità e amava l'oggetto-libro, le aveva raccolte in due fascicoli dattiloscritti cuciti da lui stesso a mano. Ci sono anche scritte in rosso, che abbiamo mantenuto tali. In cinquanta copie numerate del volume abbiamo realizzato dei facsimili dei due fascicoli. Cogni ha pubblicato parecchio, con un editore raffinato come Scheiwiller, ma c'è molto di inedito, noi vogliamo far conoscere il più possibile, anche la rarità formale di questi testi».
Cosa ha scoperto in più attraverso il Cogni prosatore? C'è speranza nei giudizi appassionati di un grande fustigatore?
«Abbiamo visto la personalità unitaria, l'attenzione filosofica all'uomo e alla realtà. C'è grande speranza, molto immanente. Cogni non credeva nella trascendenza, c'è speranza rivolta alla dignità dell'uomo. Cogni non era un disperato, pessimista e apocalittico, amava la vita, cantava la vita».
Anche a Stefano Pareti chiediamo una "battuta" sul lavoro certosino di ricostruzione dell'opera completa.
«Sì, continuiamo a cercare per far emergere aspetti inediti che alimentano l'ansia di conoscere il personaggio, il poeta, l'insegnante, l'esponente della cultura piacentina che in vita non ha potuto avere il riconoscimento meritato. Scopriamo una parola così ricca che non si può non riprenderla, non ripeterla».