Mercoledì 30 Aprile 2014 - Libertà
Tra note e parole con Garlaschelli e Bongiorno rivive la storia del partigiano Sequi nei Balcani
di PAOLO SCHIAVI
Una storia che ha contribuito, con tante altre, al riscatto morale e politico del nostro Paese, che sotto il regime fascista ha insanguinato, distrutto e violentato ferocemente le genti e le terre balcaniche. È quella raccontata nel suo diario partigiano da Eros Sequi, uno dei tanti italiani che hanno combattuto nell'Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo contro il nazifascismo croato, tedesco ed italiano nelle terre balcaniche.
Un testo vibrante, una scrittura secca e vivida, piena di Storia ma anche di umori, colori, personaggi e schegge di storie di vite tratteggiate con efficacia. Una scrittura che non concede spazio alla retorica, al pietismo e alle frasi fatte, che, su progetto dell'associazione Cultural Box, hanno da qualche tempo abbracciato il contrabbassista e polistrumentista piacentino Luca Garlaschelli e l'eclettico attore milanese Valerio Bongiorno. Ne hanno tratto Eravamo in tanti, un reading teatral-musicale essenziale e coinvolgente, un dialogo fitto di note e parole per illuminare una parentesi della Resistenza italiana spesso dimenticata, spettacolo che lunedì sera ha chiuso, al salone Nelson Mandela della Camera del Lavoro, tra gli applausi di un pubblico non molto numeroso, la decima edizione della rassegna Musica al lavoro curata da Arci e Cgil con il sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano.
Se Garlaschelli si è diviso fra tromba, cornetta, contrabbasso e chitarra acustica, accompagnando morbidamente e con un piglio drammatizzante mai eccessivo la lettura accorata di Bongiorno, voce duttile, ritmica e assai spontanea, l'attore, alternando toni pausati e accelerazioni squillanti, pathos e spicchi di amara ironia, ha passato in rassegna le parti salienti di un diario che snocciola con semplicità le sfaccettature di ciò che ha significato la Resistenza antifascista: un patrimonio ed una ricchezza politica ed umana fondata sulla solidarietà, sull'impegno di vita in prima persona e sul collettivismo di coloro che ebbero il coraggio allora di "andare in bosco", come si soleva dire.
Una ricchezza che non dobbiamo lasciare andare dispersa e che Sequi, nel descrivere la vita, le motivazioni, i limiti di coloro che "scelsero" la lotta, ce la rende viva. Una storia che Sequi non termina nel 1945 ma che, per lui e per tanti altri italiani, fu la base per vivere e contribuire alla costruzione della nuova Jugoslavia socialista, nata dalla lotta di liberazione; una storia che l'autore proseguì coerentemente e orgogliosamente fino alla sua morte, avvenuta nel 1995 a Belgrado, dove nei primi anni '90 si rifugiò, per sfuggire al riapparire del rinascente nazionalismo ustascia croato che ancora si ripresentava come un cancro non ben estirpato.