Sabato 12 Aprile 2014 - Libertà
Dal secondo Dopoguerra agli anni Novanta
Suggestioni di una ricerca ininterrotta tra realismo, astrattismo e informale
L'opera scelta come simbolo della mostra "Quadri di una collezione" è "Azzurro e grigio" di Alfredo Chighine, un olio su tela del 1971 che è l'unico quadro dell'artista milanese presente nella raccolta della Fondazione di Piacenza e Vigevano. I suoi inizi erano avvenuti come scultore, allievo di Giacomo Manzù all'Accademia di Brera, secondo un iter di formazione seguito anche dall'amico Franco Francese. Chighine nel 1945 aveva partecipato - aggiudicandosi il premio in memoria del giovane pittore Ciri Agostoni, caduto in guerra - alla mostra "Oltre Guernica", allestita sul retro del Caffé Brera dagli artisti firmatari del Manifesto del realismo, tra cui Ennio Morlotti e Rinaldo (Aldo) Bergolli. Fuori concorso aderì all'esposizione anche Bruno Cassinari, con la "Natura con brocca (Panno viola) ", oggi in collezione privata.
Come i colleghi, pure il pittore piacentino, che aveva militato nell'antiretorico movimento di Corrente, si era nel frattempo riconosciuto nell'eterogeneo Fronte nuovo delle arti, al quale la Biennale di Venezia del 1948 riserverà due sale, la XXIV con i lavori di undici artisti e la XLI con le opere del (già appartato dal gruppo) Cassinari, salutato due anni prima da Gillo Dorfles come "il più dotato forse dei giovani milanesi e certo il più sensibile".
La militanza in "Oltre Guernica" ribadiva la fede in un impegno politico e, in un certo senso, la vicinanza all'ambito della figurazione, in quanto si professava la necessità di un legame con la realtà, magari da perseguire con il rigore del neocubismo, interessato a una sintesi della rappresentazione capace di scomporre e deformare corpi e oggetti, senza però annullarne la consistenza nell'astrazione.
Questa dialettica attraversa, in modi diversi, un po' tutta la vicenda dei setti artisti - Cassinari, Morlotti, Chighine, Francese, Bergolli, Giorgio Bellandi e Ludovico Mosconi - dei "Quadri di una collezione", aggiornati su quanto accadeva intorno a loro e nel resto del mondo (specie a Parigi, meta di proficui soggiorni), ma capaci di compiere scelte autonome, non immuni al fascino dell'Informale. Questo a conferma di come il secondo dopoguerra abbia dato vita a una stagione piena di fermenti, contrapposizioni, contraddizioni.
Chighine si affiderà soprattutto alla matericità del colore, con cui dar voce a un'interiorità vibrante di poesia. La malinconia di Francese troverà profonde assonanze nell'essenzialità dell'espressionismo del belga Constant Permeke, quindi con l'"art brut" anticonvenzionale del francese Jean Dubuffet, fino al disfacimento delle figure deformate dell'irlandese Francis Bacon.
Il quadro della Fondazione di Piacenza e Vigevano, "Natura morta con drappo rosso", risale al 1949, quando ancora era avvertibile l'attrazione esercitata dal neocubismo, presto superata a favore di una pittura tonale di dolente drammaticità.
Numericamente i pittori più rappresentati nella mostra dell'ente di via Sant'Eufemia sono Cassinari e Morlotti, rispettivamente con nove e sette opere. Il sodalizio artistico tra i due pittori pressoché coetanei datava dagli anni Trenta della presa di posizione antinovecentista nelle fila di "Corrente". Insieme trascorsero anche periodi sulle colline di Gropparello, il paese dell'amatissima madre di Cassinari, morta nel 1960 e ritratta in più occasioni dal figlio, tra cui l'olio su tela del 1961 della collezione della Fondazione, che la immortala ormai in là con gli anni in una dignitosa compostezza costruita per mezzo di grandi tessere cromatiche nelle gradazioni solenni del viola.
I quadri di Morlotti sono invece impastati della terra della campagna, delle rocce della riviera ligure, del verde di un paesaggio trasfigurato nelle pennellate vigorose di un naturalismo astratto che sembra condurre inevitabilmente alla disgregazione definitiva.
Il percorso di Bergolli approderà invece a scenari urbani dove la luce aiuta a disegnare intrichi claustrofobici di segni. Le due tele della Fondazione, "Fruscio nel bosco" e "Nostalgia", del 1954, appartengono però a una precedente fase informale. Bellandi si sposterà nella direzione di un calligrafismo sempre più raffinato, in sottile dialogo con la leggerezza della cromia.
Il viaggio si chiude con una "Natura morta" del piacentino Mosconi, ritenuta di fine anni Sessanta, prima metà degli anni Settanta: un interno borghese reso "con un tratto nervoso e sintetico", mentre "la composizione affonda in un colore liquido", esempio efficace del "gioco tra contesto e soggetto, tra simbolo e referente".
An. Ans.