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Domenica 23 Marzo 2014 - Libertà

L'italia in bicicletta dal fascismo al Dopoguerra

Convegno promosso dall'Isrec. I figli di Coppi e Bartali raccontano i campioni

piacenza - «La bici è come una donna: va tenuta bene, va amata. Lui se la portava pure in camera da letto la sera. Però non voleva che io facessi il ciclista. E allora l'ho fregato: sono diventato paracadutista». Chi parla di nome fa Andrea e di cognome Bartali: il "lui" in questione era Gino, il "toscanaccio pio" campione di tanti Giri d'Italia e Tour de France che ha fatto sognare il Paese. Andrea Bartali lo ha raccontato ieri mattina all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano in occasione del convegno "Biciclette vittoriose. Eroi, ciclisti e corridori nella società del Novecento" che, oltre a lui, ha visto intervenire anche Angelo Fausto Maurizio Coppi, il "Faustino" figlio del Campionissimo e della Dama Bianca.
L'iniziativa, organizzata dall'Isrec con la Regione Emilia Romagna, il Comune, la Provincia, la Fondazione di Piacenza e Vigevano, la Fondazione Gino Bartali, il liceo "Gioia" e l'associazione "Velolento", ha visto intervenire anche lo storico Daniele Marchesini, il giornalista Marco Pastonesi, Carla Antonini dell'Isrec e Gustavo Conni di Velolento, oltre agli studenti della 3ª liceo A e della 5ª scientifico A del "Gioia": l'obiettivo era quello di ripercorrere la strada fatta da un'Italia in bicicletta fra gli anni del fascismo e del boom economico, senza tuttavia dimenticare anche l'esperienza delle bicistaffette partigiane nel periodo della Resistenza.
A raccontare dunque i campionissimi su due ruote, ma anche e soprattutto i Bartali e i Coppi genitori sono stati proprio i loro figli: «Quando si hanno dei padri che hanno percorso in bicicletta più di 700mila chilometri, anche se poi in realtà sono stati un milione e 200mila, non si può che riconoscere la loro grandezza: qualcosa dentro lo devono avere in più di te che non hai mai pedalato» ha spiegato Bartali con quella tempra sanguigna così simile a quella dell'illustre genitore. «Mio padre poi non voleva che facessi il ciclista, ma io l'ho fregato: sono diventato paracadutista sportivo. "Sei matto! " mi diceva e io avevo la risposta pronta: "Chi lo è di più fra noi due? Io ho un paracadute e so dove atterrare, tu ti butti a 70 all'ora in discese senza sapere cosa ci sarà oltre la curva". E' l'unica volta che ho avuto ragione con lui».
Diverso invece è stato il rapporto di Faustino con l'"Airone", morto quando il figlio aveva solo 4 anni: «Non mi ricordo le sue vittorie - ha spiegato durante il convegno -, mi sono reso conto dopo di quanto fosse grande come sportivo. Ma come padre era dolce, affettuoso: tornava a casa e mi faceva giocare, mi insegnava ad andare in bici anche se alla fine io di velleità sportive non ne ho mai avute».

Betty Paraboschi

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