Lunedì 24 Marzo 2014 - Libertà
Vittorio Sereni e la poesia dell'omissione e dei luoghi
La critica Niva Lorenzini in Fondazione
Conferenza per la rassegna "Lezioni Letture"
piacenza - Poesia dell'omissione e dei luoghi. Così Niva Lorenzini, critica letteraria dell'università di Bologna, ha definito la produzione poetica di Vittorio Sereni. Lo ha fatto nel corso del secondo incontro della rassegna Lezioni Letture organizzata dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano: all'Auditorium di via Sant'Eufemia, Lorenzini è infatti intervenuta sul tema Sereni. Sottrarre le cose dall'oblio e ha tracciato il profilo di una voce limpida del secolo breve, di un autore nel quale il tema della memoria si intreccia con quello del "mancamento" e dei luoghi.
«In Sereni il tema della memoria e dei ricordi emerge nei luoghi» ha spiegato la critica durante l'incontro che ha visto partecipare alcune scuole piacentine, «anzi la sua poesia ha bisogno dei luoghi». Del resto alla base della produzione del poeta c'è una consapevolezza importante che viene mutuata dalle lezioni del filosofo della fenomenologia Antonio Banfi, docente di Sereni durante gli anni di Lettere all'università di Milano: «La sua poesia si propone di recensire la realtà» ha confermato Lorenzini, «ma nel contempo c'è anche un altro obiettivo che pare in disaccordo con quello di tenersi aderenti alle cose: è quello di creare una parola poetica fatta di mancamenti e omissioni. Il motivo è chiaro: un nome non può restituire l'oggetto, non ne dà la fotografia». Ecco allora che, proprio in questo tratto la poesia di Sereni si avvicina all'ermetismo, anche se se ne distacca in maniera assolutamente percettibile: la sua è una poesia dell'omissione, del vuoto, della sospensione, come ha ben evidenziato la critica anche attraverso la lettura e l'analisi di Inverno e Strada di Zenna, testi contenuti nella raccolta Frontiera del 1941 (anche se l'edizione definitiva è del 1966).
«Sereni si chiede quale sia la materia della poesia» ha continuato Lorenzini, «in lui c'è il bisogno di afferrare, per dirla con le sue stesse parole, «gli spunti, i moventi che vengono dall'esterno anche se sono ineffabili e sfocati». Per farlo il poeta traccia una strada: dice che «bisogna stabilire la cosa, tenere lo sguardo su questa, sapere che intorno a essa si è formata una tensione che non può non implicare un lavoro di accentuazioni, riduzioni, selezioni, scarti e ancora accentuazioni».
La poesia per lui implica un lavoro continuo e incessante che diventa quasi un'ossessione: Sereni del resto è un poeta dalle varianti infinite che continua a trasferire le poesie da una raccolta all'altra e muta i titoli. Solo così però, attraverso questi continui mutamenti, si può creare quel gioco di specchi tra la poesia e l'esistenza che sta alla base di tutta la produzione di Sereni».
Betty Paraboschi