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Martedì 28 Gennaio 2014 - Libertà

«Vivere, una dialettica continua»

Il filosofo Vito Mancuso stasera presenta il libro "Il principio passione"

di BETTY PARABOSCHI
"Vivere significa esporsi alla continua dialettica della vita, alla contraddizione che la caratterizza". Sta tutto qui il senso che il filosofo Vito Mancuso ha dato al suo libro Il principio passione che presenterà stasera alle 21 all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano: il volume, edito da Garzanti, si sofferma sull'amore, sul suo posto nel mondo e sulla logica che lo regge. Quando si ama mettendo la passione al servizio dell'armonia delle relazioni si raggiunge la pienezza dell'esistenza perché l'amore riproduce una più ampia logica cosmica tesa da sempre all'armonia relazionale: è questa la tesi espressa dal filosofo, andando anche a toccare i fondamenti stessi del vivere.
«Io mi sono occupato di esaminare come la mente umana abbia cercato di interpretare il mondo nel corso del secoli - spiega Mancuso - e fondamentalmente ho individuato quattro paradigmi interpretativi».
Quali sono?
«Il primo è quello dominato dal Logos: in pratica esiste una disposizione della mente che vede il mondo come ragione e logica, nel quale anche il male ha una sua funzionalità. Il secondo paradigma invece è quello del Caos, per il quale non esiste un disegno ordinato, ma tutto è disordine. C'è poi il modello interpretativo della colpa: gli esseri umani considerano la nascita e la vita come un modo per scontare una colpa primordiale. Infine l'ultimo paradigma è quello basato sul concetto di gioco, di vitalità: il mondo viene visto come un grande teatro, un divertimento sopraffino per un Dio».
Quale di questi paradigmi è il più corretto?
«In realtà tutti e nessuno: ognuno dice una parte di verità, ma nessuno di essi è esatto. Tutti scorrono dentro di noi perché nella vita spesso si è portati a pensare di volta in volta che la vita sia Logos o Caos o colpa da espiare o ancora grande gioco a seconda di ciò che ci accade: la sintesi vitale di tutti questi paradigmi è il Pathos, ossia la passione».
Cosa intende quindi per "passione"?
«Sul termine c'è una duplice chiave di lettura: la prima, in senso positivo, rimanda alla passione come a ciò che ci muove, all'entusiasmo, alla forza vitale che ci spinge ad andare avanti. La seconda interpretazione invece, in chiave negativa, è quella del Pathos come senso di dolore grande, passione di Cristo e di tutti gli infelici che porta a vedere la condizione umana come una trappola necessaria».
Alla luce di questo ragionamento dunque la vita come viene intesa?
«Vivere significa esporsi a questa logica, entrare in questa contraddizione, in questa continua dialettica: in questo senso il ragionamento sui paradigmi e sulla passione porta a una riflessione sul senso della creazione».
All'interno di questo ragionamento che ruolo viene dato al male? Nel libro lei chiama in scena i Mostri, le Signorie cosmiche e le Potenze sataniche di cui parla la Bibbia, in una specie di corpo a corpo metafisico con le radici stesse del negativo.
«Il male è innanzitutto la grande aporia che il Cattolicesimo contiene: la difficoltà del Cristianesimo tradizionale verso il male sta tutta nel fatto che il mondo non venga interpretato come libero. Però il mondo non è solo Logos: il limite della dottrina ufficiale è stato nel considerare la realtà come ragione in cui improvvisamente, ma dopo, arriva il male. Un male che, lo dice chiaramente la dottrina, potrebbe essere sconfitto ed eliminato da Dio. Questa però è una modalità ingenua di vedere le cose: il mondo non è solo Logos e neppure solo Caos come vorrebbe il Nichilismo se no non ci sarebbe la stupenda evoluzione cosmica che ci ha portato fin qua. C'è semmai un Logos che si fa plasmando ogni istante il Caos primordiale: perché ci possa essere il bene, la vita e la ragione devono per forza esserci anche il male, la morte e il Caos».

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