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Lunedì 13 Gennaio 2014 - Libertà

«Una vita dedicata ai giovani»

La scomparsa di Benito Castellani ha lasciato un grande vuoto nel volontariato
Il ricordo della moglie Gabriella: «Il gruppo "La Ricerca" è nato a casa nostra»

piacenza - Si è spento il 14 dicembre scorso all'età di 74 anni, dopo una malattia che lo affliggeva da 12, Benito Castellani, uno dei volontari storici del territorio piacentino, rimasto attivo fino agli ultimi giorni della sua vita. Dirigente in pensione del Centro elaborazione dati della Banca di Piacenza, volontario in diversi contesti e padre di una famiglia sempre aperta agli altri, Castellani è stato un personaggio piuttosto riservato, di cui non si sa molto. Per ricostruire la sua storia abbiamo incontrato la moglie Gabriella Cagnani, con cui ha condiviso l'impegno nel sociale e con cui ha iniziato a occuparsi dei giovani tossicodipendenti a partire dagli anni Settanta, quando nessuno ancora lo faceva, fino a fondare, insieme a don Giorgio Bosini e ad altri giovani, l'associazione "La Ricerca" del Ceis.
Quando incontriamo Gabriella nella sua casa, entriamo timorosi di disturbarla in un periodo ancora segnato dal lutto, ma lei ci accoglie con sorprendente dolcezza e tranquillità: «Ho assorbito un po' della serenità che mio marito ha conservato anche nella parte più faticosa della sua malattia - ci dirà più tardi -, così oggi soffro spesso di nostalgia ma non ho rimpianti, e questo mi dona pace».
Per raccontarci come è iniziato il loro impegno nel volontariato, Gabriella parte dalla nascita del loro amore. I due si conoscono all'Rdb: lui fa assistenza tecnica ai computer per l'Olivetti, lei è una giovanissima impiegata. «All'inizio mi stava antipatico perché mi trattava come una bambina», racconta, ma appena hanno modo di conoscersi meglio si piacciono e si sposano in breve tempo, perché lei ha 21 anni e una gran voglia di uscire da una casa piena di restrizioni e lui 30 e il desiderio della famiglia che non ha mai avuto: rimasto orfano di padre, ha vissuto infatti molti anni in collegio e poi in giro per l'Italia per lavoro.
«All'inizio il matrimonio fu un disastro - confessa lei - lo vedevo pantofolaio, rigido, supponente nei miei confronti, mentre io ero animata da una vitalità inespressa e la voglia di aprirmi a tutto. Dopo pochi anni, anche se i nostri figli Lucia e Stefano erano già nati, pensavo al divorzio, e questa cosa mi lacerava». Nel frattempo, quasi per caso, Gabriella entra in una comunità neocatecumenale, si sente amata, si tranquillizza, coinvolge il marito e i nodi cominciano a sciogliersi.
La svolta arriva quando don Giorgio Bosini, da sempre loro assistente spirituale, gli chiede se si sentono di ospitare a casa loro un ex detenuto. Lei dice sì subito, ma lui tituba. Quella chiusura rappresenta però la svolta nella sua vita: Benito si rende conto di non essere poi accogliente come credeva, di essere un parrocchiano "buono" solo di facciata, che poi la sera ama appartarsi nella sua casa. Ma da quel no detto a don Bosini inizia una serie infinità di sì. «Insieme ad altre famiglie abbiamo cominciato ad accogliere in casa giovani tossicodipendenti in attesa di entrare nelle comunità di recupero - ricorda Gabriella -, poi persone malate di Aids e tante altre bisognose di aiuto. Fu Benito a subire il cambiamento più radicale, molto più di me. Alla fine si è aperto a tutto».
Si può dire l'associazione "La Ricerca" sia nata in casa loro. «Era il 1975 o 1976 quando una sera che don Giorgio Bosini venne a casa nostra - prosegue il racconto di Gabriella - parlammo del problema emergente della tossicodipendenza, di cui lui si stava interessando. Gli dissi che avevo conosciuto i medici Paolo Tansini e Alfredo Signaroldi che stavano facendo i primi esperimenti con metadone all'ospedale di Monticelli e lui mi chiese di organizzare un incontro. Fu attorno alla nostra tavola che si confrontarono le esperienze di Tansini e Signaroldi e quelle di don Bosini e poi delle giovanissime Anna Papagni e Donatella Peroni e Claudia Barabaschi». Il gruppo sceglie insieme di seguire il metodo di recupero di don Picchi a Roma, i giovani cominciano un lungo iter di formazione e nel 1980 nasce "La Ricerca" del Ceis che propone il "Progetto uomo", un percorso di riabilitazione della persona tossicodipendente che interessa la globalità delle dimensioni della sua vita e coinvolge anche la famiglia.
L'impegno di Gabriella e Benito per i ragazzi tossicodipendenti non si interromperà mai: d'estate li accompagnano in montagna a Resy, proseguono con l'accoglienza in casa, preparatoria all'ingresso in comunità, tutt'ora Gabriella è animatrice dei gruppi di autoaiuto per i genitori e sua figlia Lucia è oggi operatrice.
Dagli anni Ottanta in poi, l'impegno di Benito Castellani si concretizza anche in diversi incarichi nel mondo della solidarietà: è stato membro del Cda della Fondazione di Piacenza e Vigevano, vicepresidente del Centro di servizi per il volontariato Svep, ha collaborato con la Caritas per diversi progetti e ha dato vita a varie iniziative solidali, dalla raccolta di viveri all'ultimo "Vecchi mestieri per nuove generazioni". Dal lavoro va in pensione nel 1998, e nel 2001 si ammala di tumore alla prostata, una malattia con cui convive per 12 anni e che cementa ancora di più il rapporto con Gabriella: «Abbiamo dato valore alle cose che lo hanno davvero - ci dice lei -, ci ha dato la grazia di non perderci nelle piccolezze perché sapevamo di avere un tempo limitato». La malattia non arresta neppure il suo operoso fare per gli altri («Non si è mai lamentato, non so come facesse»).
Guardando al passato, Gabriella ravvisa nel lavoro a favore dei giovani il fil rouge che caratterizza l'impegno di Castellani. Giovani gli hanno dimostrato la loro gratitudine fino alla fine. «La fermezza di Benito ha sempre dato molta sicurezza a questi ragazzi - sostiene la moglie - una solidità, a volte un po' dura, che lui ha maturato negli anni giovanili, dovendosela cavare da solo. Mi commuoveva vedere che, quando era ricoverato a Casalpusterlengo nelle ultime settimane di vita, c'è stata una continua processione di persone che venivano a trovarlo. Molti erano gli ex ragazzi che aveva conosciuto anni prima nelle comunità di recupero. Alcuni non lo vedevano da anni, ma saputo della sua malattia sono venuti a salutarlo».

Sara Bonomini

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