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Venerdì 6 Dicembre 2013 - Libertà

I tanti volti dell'Antiquarium Intrecci di arte e storia

Duemila anni di storia che si fronteggiano: da un lato della strada, ciò che rimane di una domus romana, sulla quale sono sorte una chiesa altomedievale, poi romanica, poi trasformata radicalmente nel Seicento secondo il gusto barocco, successivamente costretta a ridursi a deposito di legname, quindi a magazzino e rivendita all'ingrosso di generi alimentari, fino all'attuale recupero ad auditorium aperto al pubblico. Dall'altro, l'eleganza di un palazzo settecentesco, costruito per riaffermare il prestigio sociale di una famiglia ricca, ma di nobiltà recente, restaurato negli anni Settanta del secolo scorso dallo Studio Franco Albini - Franca Helg, con i più recenti adeguamenti progettati da Angelo Benzi e Ugo Galluppi dopo l'acquisizione dell'edificio da parte della Fondazione di Piacenza e Vigevano nel 2007.
Alla scoperta dell'Antiquarium di Santa Margherita e di Palazzo Rota Pisaroni, situati rispettivamente ai numeri civici 12 e 13 di via Sant'Eufemia, condurranno ora, per tre domeniche consecutive, le visite guidate gratuite organizzate dalla Fondazione. L'8 dicembre, come già avvenuto il 1°, si potrà partecipare dalle ore 16 alle 18; il 15 dicembre l'orario verrà anticipato dalle ore 15 alle 17, per consentire di assistere alle 17.30 al concerto dei clavicembalisti Luigi Accardo ed Enrico Bissolo nel salone d'onore di Palazzo Rota Pisaroni, in collaborazione con il Conservatorio Nicolini.
Tanti i motivi di interesse di un itinerario che, nell'arco di pochi metri, concentra gli echi del passato più remoto della città, nelle testimonianze custodite nell'Antiquarium, e le memorie di concittadini illustri, come il contralto Rosmunda Benedetta Pisaroni, la cantante prediletta da Gioachino Rossini che abitò dal 1830 al 1872 nel Palazzo di via Sant'Eufemia.
I reperti archeologici allestiti, sotto la direzione scientifica di Annamaria Carini, nello spazio sotterraneo dell'ex chiesa di Santa Margherita, costituiscono inoltre, in attesa venga sistemata la sezione romana del museo archeologico di Palazzo Farnese, per la quale non si prevedono però tempi brevi, pressoché l'unico sguardo su questo periodo dell'antichità consentito nella Placentia fondata come colonia nel 218 avanti Cristo. Ma il fascino unico dell'edificio sta anche in una sua ulteriore specificità: il presentarsi come stratificazione esplicita delle fasi costruttive che si sono susseguite in loco, dal II secolo avanti Cristo alla fine del XVII secolo dopo Cristo.
La domus, della quale sono stati individuati resti di muri in laterizio e di pavimenti in cocciopesto, risale più precisamente alla prima età imperiale, con una ristrutturazione consistente resasi necessaria a causa dei danni provocati da un incendio.
Frammenti di intonaco dipinto ad affresco e un mosaico in bianco e nero sono riferiti proprio al secondo cantiere. Se le anfore utilizzate per il sistema di bonifica, tramite il quale si impediva la risalita in superficie dell'acqua di falda, offrono uno spaccato su quali derrate venivano importate a Piacenza alla fine dell'età repubblicana, il vasellame da mensa e da cucina - piatti, bicchieri, olle, coppe, brocche, bottiglie, vasi, bacili - esposto nelle vetrine racconta come avveniva la preparazione, la conservazione e il consumo dei cibi tra il tardo II secolo e l'avanzato I secolo avanti Cristo. Nella forma e nelle decorazioni dei contenitori non mancano influssi celtici. Alcuni balsamari in terracotta, per unguenti e profumi, rimandano alla cura del corpo, tanto praticata dai romani.
Tra le curiosità, una pedina in pasta di vetro trasparente, con la quale si poteva giocare al ludus latrunculorum, simile all'odierna dama. Del primitivo edificio di culto eretto in quest'area, rimangono due corridoi, ritenuti gli ingressi alla cripta, datata tra la seconda metà del X e l'inizio dell'XI secolo, esempio di una "sperimentazione effettuata senza abbandonare le soluzioni già a lungo praticate soprattutto nell'architettura lombarda". Il primo documento che cita la chiesa di Santa Margherita è però del 1167. Quattro secoli dopo, il vescovo Castelli ne segnalava il degrado e la necessità di un profondo recupero, avviato dai frati minori riformati nel 1619 e dagli agostiniani nel 1627.

Anna Anselmi

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