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Domenica 17 Novembre 2013 - Libertà

Suor Betta fra baby-mamme e donne in fuga

L'impegno di Elisabetta Scaravaggi di Gossolengo: cura a Modena la comunità per minori e madri
«Difficile da spezzare la catena della violenza, denunciano il marito che le picchia ma tornano da lui»

Spesso i nostri sogni nascono e maturano senza che noi lo decidiamo. Lo sa bene suor Elisabetta Scaravaggi, "la Bettina", per chiunque l'abbia conosciuta quando ancora era capo scout e sognava il matrimonio. Con i suoi occhi azzurri cielo, la superiora delle Clarisse Francescane Missionarie del Santissimo Sacramento a San Damaso, una struttura dai cento anni di storia in provincia di Modena, indossa perfettamente il suo destino, semplice come il suo grembiule e limpido come la sua carnagione. Forse è per questo che, quando sorride, sembra tanto bella. Sapere chi sei e dove stai andando dev'essere un qualcosa che rende speciali. Appena suor Betta, una dei quattro figli del presidente della Fondazione di Piacenza e Vigevano, Francesco Scaravaggi, apre la porta della comunità in via Scartazza, capiamo subito che lei, quel qualcosa, ce l'ha. E lo dimostra il fatto che suor Betta, che ha trascorso tutta la sua infanzia e la sua adolescenza a Gossolengo («Gossolengo è il luogo della mia giovinezza - racconta -, il posto delle mie radici. È casa»), terra di cinque consacrazioni in otto anni, partirà nel 2014 per il Venezuela, dove sarà chiamata a fondare una comunità per l'infanzia, nella foresta. Per ora, suor Betta gestisce ancora la comunità per minori e madri in attesa del "visto" e del via libera ufficiale.
UNA TAVOLA CON TANTE CULTURE Il momento più impegnativo, per lei, resta quello del pranzo. «Qui ci sono persone ferite che hanno vissuto forti difficoltà personali e familiari - racconta -; mangiano pasta al ragù, spalla a spalla, donne albanesi con donne marocchine: non è semplice gestire la vita comunitaria. La cucina ne è esempio. Non cuciniamo carne di maiale se abbiamo ospiti mussulmane, naturalmente, ma non è facile fare cibi simili a quelli, ad esempio, dell'Africa. Il cibo resta un veicolo di integrazione fondamentale, così come è fondamentale nel legame tra mamma e figlio: è il primo veicolo dell'affetto. La tavola è il luogo dove ci si confronta. E dove si litiga, anche solo per un pentolino sporco».
DONNE PICCHIATE, BABY MAMME Tante culture, storie diverse. Storie di donne che devono lottare prima di tutto con loro stesse per uscire dal senso di colpa e dalla "dipendenza" dal marito. «Sono donne combattute. Per alcune culture è normale la sottomissione al marito; può diventare addirittura normale prendere botte. Cominciano qui, attraverso il confronto con altre mamme, ad accorgersi che essere picchiate non è per nulla normale. Queste donne, alle quali spesso nessuno ha insegnato a lavorare, mi guardano con occhi spalancati e mi chiedono: "Cosa faccio, io, da sola, in un Paese straniero? Con 3-4 bambini? ". Noi possiamo offrire riparo per un tempo limitato. Una mamma ha più volte denunciato il marito, ma, alla fine, è sempre tornata a casa, perché non aveva nessun "piano b": la sua famiglia, in Albania, aveva deciso per lei con chi si dovesse sposare. Ha una bimba di un mese e mezzo. Chi può dire a questa donna e mamma cosa fare? Abbiamo accolto anche mamme di 14 anni, mamme bambine. E ci sono stati periodi dove ospitavamo più italiane che straniere».
IL 90% TORNA DAL MARITO- PADRONE Poche di queste donne ce la fanno realmente. «La catena della violenza è difficile da spezzare. La stragrande maggioranza delle donne picchiate già in casa, fin da piccole, trova uomini sbandati, con un passato a loro volta difficile. Sono come calamite. Chi cresce con una così forte svalutazione di sé non si sentirà mai degna di quella cosa chiamata "Amore", la lasciano perdere. Il 90 per cento delle donne ospitate torna dal marito che le picchiava. E ogni volte che al Tg sento di donne uccise dal marito penso, con il cuore in gola, che potrebbe essere una di queste». Prima di andarcene, una domanda: esistono persone cattive? «Sono convinta che esistano persone solo molto fragili. E arrabbiate, tanto arrabbiate nei confronti della vita».

Elisa Malacalza

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