Domenica 17 Novembre 2013 - Libertà
Arte e fede, connubio perfetto
Un rapporto che si è rafforzato e riconfermato nei secoli
Una tavola rotonda ha sancito l'apertura dell'edizione 2013 di Piacenza Teologia
piacenza - Arte e fede, connubio perfetto. Oltre che storico. Lo si è visto l'altro pomeriggio durante la tavola rotonda che ha sancito ufficialmente l'apertura dell'edizione 2013 di Piacenza Teologia, che quest'anno è dedicata non a caso al tema "Stupore dell'arte ed esperienza Dio": tale è stato anche il titolo dell'incontro, svoltosi a Palazzo Rota Pisaroni, che ha visto confrontarsi Yvonne Dohna della Pontificia università gregoriana di Roma e la compositrice di Mannheim Corinna Schreieck. Il dibattito, presentato da don Gigi Bavagnoli dell'associazione "Piacenza Teologia" (che con il Comune di Piacenza, la Fondazione di Piacenza e Vigevano e Wega organizza la manifestazione) e coordinato da Giovanni Salmeri dell'università Tor Vergata di Roma, ha preso in esame un rapporto, quello fra arte e fede, che nei secoli si è rafforzato e riconfermato.
«Il fatto che esista un connubio stretto fra queste due materie non desta sorpresa» ha spiegato Salmeri. «Già Hegel le considerava due grandi consecutivi dello spirito assoluto: l'arte, così come l'esperienza di fede, non serve a nulla. Nella storia possiamo vedere come il Cristianesimo si sia legato fortemente a tutte le espressioni di arte sacra al punto che risulta difficile trovare una forma artistica che non faccia riecheggiare qualcosa dell'esperienza cristiana».
Al di là della storicità del rapporto però l'incontro ha anche messo sotto i riflettori le questioni a esso correlate: una è appunto legata al contrasto tra iconismo e aniconismo risolto, almeno parzialmente, con la riaffermazione del culto delle immagini teorizzata dal secondo Concilio di Nicea; un'altra riguarda invece la tensione fra bello e brutto nella quale se la bellezza si presenta come modo di apparire della bontà, la bruttezza può essere il segno di una diversità, di una bellezza diversa di cui la fede ha bisogno.
Ecco allora le domande che sorgono nel momento in cui l'uomo si trova davanti a un'opera d'arte: «Cerchiamo di guardare dietro le opere d'arte e di svelarle» ha spiegato Dohna. «In che modo se i sensi sono considerati ingannevoli e quindi la competenza intuitiva perde valore? Come ci può aiutare l'arte? Dipende dalle nostre aspettative verso l'opera, ma dipende anche dal fatto che spesso non siamo capaci di entrare in dialogo con essa, non siamo in grado di ascoltarla, "di lasciare giocare gli occhi" come diceva Cezanne». Da qui la filosofa ha indicato la triplice strada
teorizzata da Gerl-Falkovitz: quella del rapporto fra l'io e l'opera, quella della tensione all'interno dell'io e infine quella che porta ad andare oltre se stessi e quindi ad ascoltare l'opera.
Da parte sua invece Schreieck ha analizzato il tema del commiato in Shostakowich e Mahler e l'effetto che le ultime opere del secondo hanno avuto sul primo: «Entrambi hanno cercato di affermare con le loro "opere del commiato" una fede nei confronti dell'eternità che è divergente» ha spiegato. «Mahler evoca con la musica un mondo trascendente, mentre Shostakowich crea una musica nel nome della vita e contro il male».
Betty Paraboschi