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Domenica 10 Novembre 2013 - Libertà

Custodire le nostre identità Investigatori dell'arte

di FAUSTO FIORENTINI
"Inventariazione del patrimonio mobile e censimento degli edifici di culto della diocesi di Piacenza-Bobbio: conclusione di un lungo lavoro": questo il titolo di un convegno di studio che si terrà domania Palazzo Vescovile di Piacenza. A parte riportiamo il programma nel dettaglio.
L'importanza di questo tema, che non deve essere confuso con altri simili che l'hanno preceduto, sta nel termine "conclusione": nel 1998 l'Ufficio per i beni culturali della diocesi di Piacenza-Bobbio avviava un complesso lavoro per catalogare tutti i beni culturali che sono conservati nelle chiese delle 422 parrocchie della diocesi. Considerando anche quelli non parrocchiali, gli edifici sacri si raddoppiano, quindi un lavoro immenso tanto che complessivamente sono state compilate oltre novantamila schede. Per la realizzazione di questo progetto, per i territorio di competenza, vi è stato l'apporto finanziario della Fondazione di Piacenza e Vigevano e della Fondazione di Cariparma.
La squadra degli schedatori, autentici investigatori di cose d'arte, ha preso in esame, oltre agli stessi edifici, i dipinti mobili, gli affreschi, le sculture (in diversi materiali, dal legno al marmo), opere in metallo, i tessuti, i mobili in legno e gli altari, molti in marmo. Da questa indagine sono stati esclusi gli archivi, già sottoposti ad attenti lavori di analisi e controllo come ha dimostrato un recente convegno che si è tenuto a Palazzo vescovile.
Questo censimento è, per diversi aspetti, nuovo, ma non si muove su un terreno del tutto vergine: la Soprintendenza ha già compiuto un imponente lavoro di schedatura iniziato alla fine degli anni Settanta del secolo scorso. A questo si aggiunge, ancora in modo più esteso, quello della diocesi impostato sull'utilizzo dell'informatica: le attuali schede sono tutte informatizzate ed arricchite da foto in formato digitale. Questo, spiegato in parole semplici, permette di avere a disposizione un lavoro flessibile nel suo utilizzo. Ora questo materiale verrà messo a disposizione della Conferenza episcopale italiana, delle Soprintendenze, dei singoli parroci, ma nel futuro, lasciano intendere in Curia, sarà disponibile anche per gli studiosi e per tutti coloro che ne faranno richiesta.
Non esiste ancora un vero progetto di apertura al pubblico, anche se sembra nei programmi. Chi opera nel settore è comunque cauto nel fare anticipazioni e si capisce. Se da un lato l'aver schedato qualche cosa come novantamila opere d'arte è una forte azione di dissuasione per i ladri, nello stesso tempo portare a conoscenza del grande pubblico un patrimonio importante per il suo valore storico, artistico e devozionale comporta anche dei rischi per la sua sicurezza. Quindi questo immenso schedario, anche quando verrà messo a disposizione del pubblico, sarà opportunamente protetto con password ed altri strumenti di salvaguardia sui quali gli addetti ai lavori preferiscono non esprimersi. Ed è comprensibile.
Nei nostri ricordi di giovane cronista vi è un'intervista fatta ad un commissario di Pubblica Sicurezza di Piacenza che, con molta franchezza, confidava che la maggiore sicurezza per le opere d'arte è la loro non-conoscenza. Fortunatamente da allora i tempi sono cambiati. Non sappiamo se i ladri nel frattempo sono diventati più bravi, certo è migliorata di molto la tecnologia per proteggere le opere d'arte e per agevolare la loro ricerca, in caso di furto.
A parte questo aspetto, un lavoro di catalogazione come quello fatto dalla diocesi di Piacenza-Bobbio è soprattutto importante per il valore culturale. Ci permette di conoscere, attraverso queste opere, il nostro passato di popolo credente e su questa base comprendere meglio il nostro presente. Anche la fede è fatta di conoscenze storiche e, in senso lato, culturali.
Vi è poi il mondo della ricerca e degli studi che, senza disconoscerne i meriti, spesso limita le proprie indagini al conosciuto anche perché le ricerche sono in genere veramente difficili. Ed oggi ancora di più. Non si deve dimenticare che almeno il cinquanta per cento delle chiese parrocchiali - per essere ottimisti - è senza parroco residente e questo si riflette anche sulla conservazione del patrimonio artistico. Diventa sempre più urgente un museo diocesano, ma già sono attivi depositi centrali dove vengono poste opere di chiese spesso chiuse al pubblico. Davanti a questi spostamenti (questo vale anche per gli archivi) diventa importante che ogni opera abbia una propria carta d'identità che ci informi sull'autore, sul soggetto, sull'epoca in cui è stata realizzata e sul contesto culturale, sulla collocazione senza trascurare i committenti. Pure importante lo stato di conservazione. Non occorre essere specialisti per comprendere come tale mole di informazioni sia importante anche per gli studi.
Una mole di lavoro che oggi l'informatica rende flessibile anche per l'utilizzo e il trasferimento: basterebbe pensare alle foto. Ovviamente dietro questo grande lavoro ci sono persone che meritano di essere citate: l'ufficio per i beni culturali, nel periodo preso in esame, è stato diretto nell'ordine da mons. Domenico Ponzini, da don Giuseppe Lusignani ed ora da Manuel Ferrari. Veterana - ci riferiamo ovviamente solo al lavoro - delle schedatrici è Susanna Pighi che dal 1998 al 2006 ha collaborato al catalogo con Carla Longeri, prematuramente scomparsa. Importante anche l'apporto di Daniela Costa. Sono tutte storiche dell'arte dotate di titoli accademici adeguati. Per le foto, e loro informatizzazione, hanno collaborato Franco Rovelli ed Orlando Cavezzali. All'inizio il lavoro è stato coordinato da Giuseppe Bongiorni. Di volta in volta hanno dato il loro contributo squadre di catalogatori esterni. Un lavoro che si è protratto per quasi quindici anni: ecco perché oggi è importante fermarsi per analizzare i risultati raggiunti e questo avverrà con il convegno di domani.

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