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Martedì 5 Novembre 2013 - Libertà

Stefano Bartezzaghi: «Così è cambiata la lingua nell'era dei social network»

"Tempo presente": stasera il linguista all'auditorium della Fondazione

piacenza - Qualche anno fa era approdato a Piacenza per presentare L'orizzonte verticale - Invenzione e storia del cruciverba. Oggi Stefano Bartezzaghi, figlio di quel celebre Piero autore del "cruciverba della pagina 41" della Settimana Enigmistica che era il più difficile e riservato ai solutori più abili ed esperti, torna nella nostra città: lo fa stasera alle 21 all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano dove interverrà all'incontro intitolato "Come dire... le parole e i fatti" e presentato da Eugenio Gazzola nell'ambito della rassegna "Tempo presente". Ma soprattutto lo fa in un anno in cui ricorre il centenario della nascita del cruciverba, "celebrato" da Bartezzaghi con la ripubblicazione de L'orizzonte verticale in edizione tascabile e con quella de Il falò delle novità, ultima fatica letteraria del linguista dedicata alla creatività nell'era dei social network.
Nell'intervista rilasciata a Libertà qualche anno fa lei si era definito un "linguista per caso". Come si rapporta oggi un linguista per caso con i social network?
«Sono sia su Facebook che su Twitter: sul primo però partecipo poco perché lo considero fondamentalmente uno strumento per tenermi in contatto con gli amici lontani e mi sembra strano considerarlo qualcosa di serio. Twitter invece mi sembra più divertente anche per la possibilità che offre di creare dei palindromi, degli anagrammi: succede qualcosa e subito si può commentarlo in forma breve. E poi ci sono dei progetti letterari interessanti che emergono su questo network: uno fra tutti era "#Come Perec" che chiedeva di scegliere un luogo e descrivere tre giorni trascorsi lì come aveva fatto lo scrittore in Tentativo di esaurimento di un luogo parigino. Diciamo che provo gratitudine verso questi mezzi, ma ne riconosco anche la relatività: non ne faccio dei feticci».
Che effetti ha avuto sul linguaggio la diffusione capillare dei social network degli ultimi anni?
«Innanzitutto abbiamo imparato dei termini tecnici: Facebook e Twitter non sono solo diventati dei mezzi di contatto fra persone, ma degli strumenti che hanno portato a una evoluzione del linguaggio. Non è una novità: mi viene in mente ad esempio quando con l'alluvione della Valtellina si parlò in maniera frequente della tracimazione del fiume Adda. Quasi nessuno fino ad allora aveva usato il verbo "tracimare" se non pochi esperti: dopo quell'alluvione invece facemmo tracimare praticamente tutto. Così è stato anche per i social network: si sono diffusi dei termini specifici e si è affermato un linguaggio che ha la forma dello scrivere parlato: vengono meno le forme epistolari e si privilegiano quegli elementi di informalità e quelle strategie grafiche che restituiscono la freschezza del parlato e la qualità orale».
Non c'è il rischio però che, così facendo, si vada incontro a un impoverimento della scrittura?
«Non credo, anzi. E' tornata l'abitudine a scrivere: i social network hanno rappresentato un ritorno alla scrittura per persone che altrimenti non avrebbero più scritto».
E la creatività non rischia di venire messa a tacere dalla sintesi richiesta dai "cinguettii della rete"?
«No, perché essa richiede dei vincoli: sia Facebook che Twitter danno un campo libero ma impongono anche delle regole che risultano necessarie, diventano un gioco e uno stimolo per essere creativi».

Betty Paraboschi

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