Giovedì 7 Novembre 2013 - Libertà
«La creatività è un gioco»
Stefano Bartezzaghi e i cambiamenti della lingua
piacenza - Da bambino giocava con il papà a creare rebus, architettare sciarade, comporre schemi di cruciverba. Da grande invece ha iniziato a interessarsi alla creatività, diventata passione e tormento, croce e delizia per un linguista dal passato di enigmista. E' questa la storia di Stefano Bartezzaghi, figlio di quel celebre Piero che dava il nome al cruciverba più difficile della Settimana enigmistica: l'ha raccontata lui stesso in un incontro svoltosi all'auditorium Santa Margherita che ha avuto più il sapore del dialogo fra amici che non quello del convegno.
L'occasione l'ha offerta la rassegna "Tempo presente", promossa dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano, che proprio l'altra sera ha esordito dando la parola a Bartezzaghi: coordinato da Eugenio Gazzola, l'incontro ha offerto al noto ospite l'occasione di parlare della sua ultima fatica letteraria intitola Il falò delle novità e di spaziare a 360 gradi sulla lingua, sulla comunicazione e ovviamente anche sull'enigmistica, campo "di famiglia" per i Bartezzaghi.
«L'enigmistica per me è sempre stata un modo alternativo di guardare il linguaggio» ha spiegato il linguista. «Ho iniziato da bambino come gioco che facevo con mio papà e poi ho proseguito; la creatività invece, a cui è dedicato appunto l'ultimo libro, è stata più una passione, seppure strana, e anche un tormento. Negli anni Ottanta infatti di creatività si parlava molto, senza tuttavia riuscire a definirla chiaramente: ancora oggi essa ci appare come un "concetto-saponetta", tutti sanno cosa sia, ma nessuno riesce a darne una definizione stabile».
Dagli anni Ottanta all'era dei social network nulla sembra dunque essere cambiato, anche se rispetto al passato il linguaggio ha subito un mutamento: «Io non credo che la creatività possa subire un danneggiamento da Facebook o da Twitter, ma anzi in certi casi i social network possono anche rappresentare un stimolo a fare meglio, a creare qualcosa di davvero creativo» ha continuato Bartezzaghi. «Prendiamo ad esempio Twitter: il limite dei 140 caratteri può essere visto come una sfida per risultare più creativi. Del resto io sono convinto che fra la totale libertà e il limite che non ti consente di agire ci sia uno spazio libero: quello è tecnicamente parlando, il gioco. E' come un ingranaggio: deve esserci il gioco per funzionare. E il gioco è la creatività».
Diversa è invece la questione relativa al linguaggio: «Oggi la comunicazione sembra funzionare sulla base del gergo» ha spiegato Bartezzaghi. «I gerghi giovanili ci sono sempre stati, sia chiaro: abbiamo però assistito a una sorta di crollo del prestigio della parola scritta-scritta. Oggi ci troviamo più che altro in presenza di un "parlato scritto": si è affermato un linguaggio che ha la forma dello scrivere parlato, in cui sono venute meno le forme epistolari e sono stati invece privilegiati quegli elementi di informalità e quelle strategie grafiche che restituiscono la freschezza del parlato e la qualità orale. In pratica siamo arrivati al punto in cui non esiste più un registro di prestigio».
Di contro però anche nel linguaggio si è affermata la logica delle comunicazioni di massa: «Ormai siamo in presenza di un dominio capillare di questa logica» ha confermato Bartezzaghi. «Il risultato è un aumento dei meccanismi di enfasi e uno svuotamento etimologico delle parole che non ci porterà nulla di buono».
Betty Paraboschi