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Lunedì 14 Ottobre 2013 - Libertà

Baranelli: «Il mio lavoro con gli scrittori in casa editrice»

"Del fare libri": domani l'autore sarà ospite di Cittàcomune insieme a Francesco Ciafaloni

piacenza - La presentazione del volume Una stanza all'Einaudi di Luca Baranelli e Francesco Ciafaloni, pubblicato da Quodlibet, quale occasione per riflettere sul tema "Del fare libri. Tra cultura e politica, prima e dopo il '68", oltreché portare all'attenzione decenni fondamentali dell'attività di una casa editrice che tanti contributi ha apportato alla circolazione delle idee in Italia: è l'incontro organizzato dall'associazione Cittàcomune in programma domani alle ore 17.30 all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, in via Sant'Eufemia 12, al quale interverranno i due autori, il curatore Alberto Saibene e il saggista Piergiorgio Bellocchio, in più occasioni ricordato nel testo, insieme a Grazia Cherchi, per la loro attività di artefici dei Quaderni piacentini, in contatto con quanto avveniva a Torino in quegli anni di movimentati cambiamenti.
Sia Ciafaloni, redattore all'Einaudi dal 1970 alla crisi del 1983, sia Baranelli, redattore all'Einaudi dal 1962 al 1985, sono stati storici collaboratori della rivista piacentina, mentre nell'ufficio di via Biancamano nel capoluogo piemontese avevano l'opportunità di frequentare Natalia Ginzburg, Primo Levi, Norberto Bobbio, Italo Calvino, lo stesso Giulio Einaudi, che si ritrovano non solo nelle parole, ma nelle fotografie a corredo del libro Quodlibet.
In particolare, Baranelli ha in seguito curato per Mondadori l'epistolario di Italo Calvino, una selezione di interviste dello scrittore e, con Ernesto Ferrero, Album Calvino, oltre ad aver consegnato alle stampe la Bibliografia di Calvino, per i tipi della Normale di Pisa che rimane un saldo riferimento. «Ho continuato su Calvino quello che all'Einaudi prima, alla Loescher poi, era il mio lavoro con gli autori» spiega Baranelli. Ossia l'opera di un redattore, parola oggi sostituita dal termine inglese "editor", ma non è solo il lessico a marcare la distanza da un mestiere editoriale che all'Einaudi si compiva nel segno di una meticolosa passione fino alla scala del dettaglio.
«Senza voler fare il passatista, credo che l'introduzione del digitale nell'editoria abbia apportato molti vantaggi, tanto però è andato perduto, forse irrimediabilmente» osserva Baranelli.
«Il settore è oltretutto colpito da una grave crisi, per cui chi pubblica un libro deve ormai fidarsi di ciò che l'autore o il traduttore gli inviano. Da Einaudi c'erano tre o quattro letture delle bozze, per cui di refusi ed errori se ne verificavano sicuramente meno. Adesso l'editor è soltanto un'interfaccia tra la casa editrice e l'esterno. In pochi devono occuparsi di un numero enorme di libri in pochissimo tempo. Spero che l'era digitale trovi comunque una sua evoluzione positiva, ma siamo ancora lontani».
Il saggio di Quodlibet si sofferma su come l'Einaudi si confrontò con le istanze di quello spartiacque costituito dal '68. «Giulio Einaudi, una persona molto intelligente e attenta a ciò che accadeva nella società, decise già dall'anno prima di impostare una collana, "Serie politica", per documentare quanto succedeva in Italia e nel resto del mondo. Io fui poi incaricato di curarne il coordinamento redazionale. Significativamente, il primo volume fu La contestazione cinese di Edoarda Masi, il secondo un libro di documenti dei vietnamiti intitolato Il Vietnam vincerà, il terzo, Gli ultimi discorsi di Malcom X».

Anna Anselmi

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