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Venerdì 18 Ottobre 2013 - Libertà
Quando si prende una nota
Il ruolo di genitori e scuola
Italo Fiorin, professore della Lumsa di Roma, apre la serie di incontri questa sera, alle 20,45, presso l'auditorium della Fondazione
di ELISA MENDOLA
Scuola Genitori, anche quest'anno si riparte. Giunti alla quarta edizione siamo sempre più impegnati nel dare le risposte alle domande che ci arrivano dal mondo educativo (genitori ma anche insegnanti ed educatori) e nel dare il nostro sostegno alle famiglie piacentine.
La Scuola Genitori è un progetto con una forte impronta pedagogica che negli anni sta cercando di colmare il vuoto del mondo educativo, fornendo quei basilari pedagogici che permettono di organizzare al meglio l'educazione dei figli.
Con lo sportello di consulenza pedagogica e con i tanti impegni sul territorio (oltre a Piacenza la Scuola Genitori è stata esportata in 20 città italiane) ci rendiamo conto che i nuovi genitori sembrano fragili ma in realtà sentono l'importanza dei grandi cambiamenti storici e sociali in atto e vogliono fare il meglio possibile.
Ripartiamo oggi, venerdì 18 ottobre, alle ore 20.45 presso l'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano con un tema legato a questo periodo dell'anno: la scuola.
Una serata dal titolo "Ho preso una nota! Il ruolo dei genitori e le attese della scuola: è possibile un'alleanza"?
Per gli alunni la scuola è una legittima fatica ma molto spesso lo è anche per le famiglie. Notiamo una grande confusione nel rapporto insegnanti-genitori alimentato da eccentriche richieste sia da una parte che dall'altra.
Lo scopo di questa serata con Italo Fiorin, professore della Lumsa di Roma e direttore di Scuola Italiana Moderna, è chiarire in che modo i genitori possono essere una risorsa per i bambini ma anche per i ragazzi.
Chiediamo al relatore della serata, quindi, di rispondere alle nostre domande e darci qualche anticipazione:
Gli alunni sono sempre più distratti e la scuola sempre più abbandonata dai governi e da chi dispone del potere pubblico. C'è comunque speranza dal suo osservatorio speciale?
«Parliamo di una duplice distrazione, quella degli alunni e quella di chi ha la responsabilità della politica scolastica. Si tratta di due tipi di distrazione diversi, ma credo che dobbiamo maggiormente preoccuparci di questo secondo tipo di distrazione. Questo tipo di distrazione non è qualcosa di recente, ma si è andato accentuando in questi ultimi quindici anni. I dati che segnalano lo stato di salute del nostro sistema scolastico sono molto severi, e riguardano tanto la situazione delle risorse materiali quanto quello che viene chiamato il ‘capitale umano'. Bastino due esempi: lo stato dell'edilizia scolastica, che nel nostro Paese è complessivamente allarmante, con situazioni di drammaticità (su 42.000 edifici scolastici la maggior parte versa in situazioni critiche); la piaga del precariato, che è ancora elevatissima, e che oltre ad essere fonte di grande disagio per gli insegnanti che, giustamente, aspirerebbero ad una maggiore serenità nell'esercizio della loro professione, si rivela dannosa anche per gli studenti, costretti a subire, a causa dei continui cambi dei docenti - perfino ad anno in corso - tutti i danni della discontinuità educativa e didattica. Bisogna riconoscere che nei recenti provvedimenti presi dall'attuale ministro dell'istruzione ci sono segnali positivi di inversione di tendenza, proprio in riferimento alle due criticità che ho ricordato: forte impegno per la riqualificazione edilizia; un piano consistente per l'assunzione a tempo indeterminato degli insegnanti che operano per il sostegno degli alunni con disabilità».
C'è speranza che le cose cambino?
«Solo se cambia la mentalità dei politici, che considerano i soldi assegnati in bilancio per l'istruzione solo sotto la voce ‘spese' (da tagliare quanto più possibile) e non ‘investimento'. Non dovremmo più tollerare che un ministro, per giustificare i tagli feroci al bilancio dell'istruzione, possa dire come disse qualche anno fa l'on. Tremonti, allora ministro del Tesoro, che "con la cultura non si mangia", espressione tanto ingenerosa verso chi cerca di aiutare le giovani generazioni a crescere culturalmente, quanto miope sul piano degli stessi interessi economici del nostro Paese. Ma i politici non cambieranno, se non sarà la società civile per prima a modificare la propria considerazione nei confronti del compito della scuola, se non saprà incalzarli con forza e determinazione. Quanto alla ‘distrazione' degli alunni, il discorso è molto diverso. Non esiste la categoria del ‘bambino distratto', i bambini sono interessatissimi, curiosi, esploratori. Ma non è detto che la loro attenzione coincida con ciò per cui gli insegnanti chiedono attenzione. Il compito degli insegnati è oggi reso più difficile dal fatto che l'esperienza di apprendimento dei bambini avviene forse più all'esterno che nella scuola, in modi molto diversi da un tempo, attraverso modalità prima impensabili, grazie all' apporto delle nuove tecnologie, che si servono di linguaggi accattivanti, che richiedono tempi di attenzione brevissimi, stimolano modalità di apprendimento molto diverse da quelle richieste dalla scuola e fortemente concorrenziali con il linguaggio della scuola».
Una volta i bambini vivaci non erano un problema cosi serio per la scuola come oggi. Cosa sta succedendo?
«Dovremo intenderci con l'espressione ‘bambino vivace'. Ci sono dei bambini per i quali prestare anche per breve tempo attenzione, stare fermi al banco, mantenere un comportamento adeguato alle richieste delle attività che si svolgono in aula, tutto questo costituisce qualcosa di veramente problematico. Si tratta di un disturbo dell'attenzione e del comportamento che richiede una particolare competenza per essere affrontato. Non si tratta, però, di qualcosa che si verifica ‘oggi', ma di una situazione patologica, che, come tale va considerata e trattata. Se, invece, per ‘vivace' si intende riferirsi a bambini che, pur non presentando disturbi specifici, fanno fatica a seguire le regole che il lavoro scolastico richiede, possiamo convenire che oggi questo genere di comportamenti si manifesta molto più che nel passato. Non esiste una sola causa, ma una molteplicità di fattori. Uno dei più importanti riguarda il cambiamento nell'educazione in famiglia».
Sì, in effetti un tempo i genitori erano più capaci di dare ai loro figli delle ‘regole' di comportamento.
«La famiglia era l'ambito nel quale si imparava, prima che altrove, i valori da riconoscere, i comportamenti da tenere, che cosa era ammesso e che cosa no. I limiti da non oltrepassare erano nettamente definiti e funzionava un sistema piuttosto chiaro di sanzioni. Oggi questa tipologia di famiglia non esiste più. La famiglia cerca di ottenere dai figli più un ricambio affettivo che un ossequio basato sulla paura delle punizioni. Anche i ruoli genitoriali sono meno distinti di un tempo, anche il padre è, spesso, un amico dei figli, molto più capace di manifestare affetto. Il compito di dare le regole si sposta dalla casa alla scuola, dai genitori ‘affettivi' agli insegnanti. Ma i bambini, che hanno sperimentato in famiglia delle relazioni molto amichevoli e poco asimmetriche con gli adulti di riferimento (che in genere sono tanti, non solo i genitori, ma anche i nonni, gli zii …), portano nell'aula il loro modo informale di relazionarsi alle persone grandi, e quindi gli insegnanti si trovano di fronte bambini che non conoscono la ‘paura', che non hanno sperimentato il limite da non superare, che non sono avvezzi ai divieti. Si presenta quindi la necessità di un nuovo tipo di alfabetizzazione, quello delle relazioni interpersonali, del rispetto delle norme, dei doveri oltre che dei diritti, insomma della responsabilità».
Come possono contribuire i genitori perché la scuola rappresenti un'esperienza importante e di apprendimento per i loro figli?
«Il contributo dei genitori è molto importante. C'è un'espressione forse troppo tecnica che aiuta a capire come deve essere impostata la relazione tra la scuola e i genitori: interdipendenza positiva. Interdipendenza significa che non c'è estraneità, ma che si è legati reciprocamente. Quello che si fa in famiglia conta molto, influenza l'esperienza scolastica. I genitori che desiderano aiutare i loro figli si chiedono in che modo possono influenzare positivamente il successo scolastico. Si sa che i bambini che hanno la fortuna di vivere in un ambiente sociale e culturale ricco di stimoli partono da una situazione molto più favorevole di chi invece vive in contesti poveri, culturalmente depressi, e la scuola ha, nei loro riguardi, una responsabilità in più. Ma quello che più conta, l'aiuto più importante che i genitori possono fornire non sta nelle condizioni materiali o culturali che caratterizzano il contesto famigliare, sta nell'atteggiamento che i genitori hanno verso l'istruzione. Se i genitori affidano importanza all'istruzione, se hanno una attesa positiva, questa visione viene trasmessa ai loro figli. Vale anche il contrario. Se nella famiglia, ricca o povera che sia, non vi è considerazione del compito della scuola, al posto della stima vi è una visione svalutante del compito di chi insegna, se i valori sono molto lontani da quelli di cui la scuola ha la responsabilità di far incontrare e trasmettere, allora il contributo è devastante».
Siamo all'inizio dell'anno scolastico: le chiediamo quale può essere una cosa che i genitori devono fare e una cosa che è meglio non facciano per aiutare i loro figli nel percorso scolastico?
«Dico le due cose utilizzando una sola parola: facilitazione. I genitori, nel loro voler bene ai figli, desidererebbero rimuovere tutti gli ostacoli. L'ideale irrealistico del bambino felice guida a lungo il comportamento di tanti. Ma rendere la vita facile, oltre rivelarsi, alla lunga, un ideale impossibile, è quanto di più sbagliato i genitori possono desiderare, e agire cercando di rimuovere gli ostacoli, di togliere ai figli il rischio dell'insuccesso e della sofferenza, è profondamente sbagliato, fonte di danno, non di aiuto. Che cosa è meglio fare, allora? Il facilitare va inteso non come rendere il più possibile facili le cose, togliendo gli ostacoli, ma mettere il bambino di fronte agli ostacoli che può superare, che sono alla sua portata, basta che si impegni in questo. L'azione richiesta è quella dell'incoraggiamento che accompagna, non del fare al posto del bambino. La ricompensa più importante è la consapevolezza di essere stati capaci di farcela da soli, di aver vinto la sfida, di essere competenti. Il desiderio della competenza dei figli è molto diverso dal desiderio della loro felicità frutto dell'eliminazione delle prove. Ci vuole molto coraggio per desiderare che i nostri figli siano capaci di cavarsela da soli, che non abbiano bisogno di noi».
Le serate affronteranno i temi che voi stessi avete votato tramite i nostri sondaggi su Facebook: i compiti e la scuola, imparare a dire di no, il sonno e la comunicazione. Vi aspettiamo numerosi, la partecipazione è gratuita, tutte le info sul sito www. cppp. it oppure: scuola. genitori@cppp. it, indirizzo al quale potete scrivere ancora le vostre domande.
Buona scuola!
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