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Sabato 19 Ottobre 2013 - Libertą

La "cucina editoriale" di Calvino

In Fondazione per Cittącomune dibattito con Bellocchio, Saibene, D'Amo, Baranelli e Ciafaloni
«Era un esempio inimitabile di redattore e un abile traduttore»

piacenza - Italo Calvino resta «un esempio inimitabile, irripetibile» nel quale si assommavano le doti di un redattore di alto livello e di un abile traduttore, che si destreggiava bene pure nelle attivitą ben poco appariscenti di "cucina editoriale". Suoi centinaia di risvolti scritti di notte e mai firmati, con poche eccezioni. Paratesti che si configurano quali "microsaggi" particolarmente penetranti tanto che lo stesso Calvino, nel libro che progettava su Cesare Pavese e che non riuscģ a vedere la luce, aveva previsto di includere le due straordinarie bandelle apparse nei volumi delle Lettere dello scrittore di Santo Stefano Belbo pubblicati nei "Supercoralli". Un ulteriore tratto rivelatore della personalitą di Calvino era il fatto che «riceveva moltissima corrispondenza da aspiranti scrittori e rispondeva a tutti». Aspetti illuminanti del clima che negli anni Sessanta si respirava in via Biancamano a Torino, nella sede della casa editrice Einaudi, emersi durante l'incontro Del fare libri, organizzato all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano dall'associazione Cittącomune, presieduta dal saggista Piergiorgio Bellocchio, intervenuto all'iniziativa insieme a Gianni D'Amo, Alberto Saibene, Luca Baranelli e Francesco Ciafaloni. Al centro dell'intenso pomeriggio, suggellato dalla discussione con il pubblico, il volume Una stanza all'Einaudi di Baranelli e Ciafaloni, curato da Saibene per i tipi Quodlibet.
D'Amo, introducendo la presentazione, ha ricordato come il titolo Del fare libri sia una citazione dall'ultimo volume edito da Zanichelli di Gianni Sofri, il docente universitario atteso come ospite di un prossimo appuntamento di Cittącomune. Sollecitati dalle domande di Saibene, Baranelli e Ciafaloni hanno raccontato dal di dentro una stagione culturalmente esaltante della casa editrice torinese, ma anche la difficile fase che precedette il fallimento e il cambio di proprietą. Dopo la morte nel 1950 di Pavese, tra i fondatori e magna pars dell'Einaudi, Calvino - ha evidenziato Bellocchio - finģ per assumere il ruolo che era stato dello scrittore de La luna e i falņ. «Non potevano esserci due persone pił diverse, eppure avevano in comune un forte senso di responsabilitą e notevoli capacitą» ha sottolineato Bellocchio, mettendo in luce poi due importanti questioni su cui si sofferma il libro Quodlibet: oltre alla crisi finanziaria del 1983, il "caso" Fofi esploso nel 1963 che si concluse con la mancata pubblicazione de L'immigrazione meridionale a Torino (poi uscito per Feltrinelli) e l'allontamento di Renato Solmi e Raniero Panzieri dalla redazione. Ciafaloni, che in Una stanza all'Einaudi offre un ritratto di Italo Calvino, ha parlato in Fondazione anche di Primo Levi («una persona molto diretta ed esplicita»), mentre Baranelli, rievocando l'eccezionale fiuto di Giulio Einaudi, ha portato all'attenzione il contributo fondamentale di Leone Ginzburg («il vero grande publisher»).
Oggi, pur avendo la storica Einaudi, con la sua proverbiale attenzione alla cura del libro anche come oggetto, influenzato positivamente case editrici venute dopo di lei, rimane l'amara constazione di quanto, dal 1983 in avanti, la pluralitą editoriale di una cittą quale Torino sia «estremamente impoverita».

Anna Anselmi

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