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Domenica 22 Settembre 2013 - Libertà

Veca: «Il concetto di democrazia è in crisi»

Intervista al filosofo che venerdì interverrà a un incontro al Festival del Diritto

di MAURO MOLINAROLI
Cortese, disponibile, ma soprattutto filosofo vero, uno dei massimi in Italia, che ha fatto dell'impegno civile e culturale una delle proprie ragioni di vita. Salvatore Veca, prorettore vicario dell'Istituto Universitario Studi Superiori, è docente di Filosofia politica all'università di Pavia. E' stato presidente della Fondazione Feltrinelli di Milano e preside della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Pavia. E' presidente del Comitato generale premi della Fondazione Eugenio Balzan e della Fondazione Campus di Lucca. Fa parte del Comitato di direzione della Rivista di filosofia e dello European Journal of Philosophy. Sarà relatore al Festival del Diritto venerdì 27 settembre alle 15.30 all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano insieme a Massimo Luciani. Tema dell'incontro "La democrazia tra politica statale e sfide globali", coordinerà Geminello Preterossi.
Incertezze della democrazia, è questo il tema del festival, significa che il nostro Paese sta andando incontro a una crisi di sistema?
«Con la globalizzazione è entrato in crisi il concetto di democrazia contemporanea e la forma di governo democratico non è più rispondente ai profondi mutamenti avvenuti in questi ultimi vent'anni. Da circa due secoli eravamo abituati a pensare in termini di democrazia, stato e nazione. Abbiamo fatto nostra ciò che il filosofo Jurgen Habermas, ha definito "Costellazione nazionale" ma oggi la vera sfida è quella globale con il crescente peso degli scambi internazionali, del decentramento mondiale della produzione, della crescita di soggetti economici multinazionali diffusi in tutto il mondo e di dimensioni maggiori di molti Stati, anzi di tutti gli Stati salvo le grandi potenze».
Facendo riferimento al processo di globalizzazione, abbiamo una crisi degli stati nazionali?
«Lo Stato nazionale nasce con la separazione della politica dall'economia e con la creazione di una sfera di libera attività economica all'interno degli Stati. In questi ultimi anni sono cambiate troppe cose. Molti attributi che per lungo tempo sono appartenuti agli stati nazionali, sono trasferiti di fatto a organismi internazionali come il Fmi, la Banca mondiale, il Direttorio della moneta unica europea, gli organismi dell'Unione Europea, le alleanze militari, come la Nato, ma in questo modo il funzionamento dello Stato è a rischio, anzi è già in crisi perché il riferimento sono oltre a questi organismi sovranazionali, i mercati che non guardano in faccia a nessun ordine politico, a nessun stato. L'incertezza della democrazia sta in questo mutamento che ha provocato cambiementi sostanziali, di fronte ai quali gli stati spesso non sanno come difendersi e soprattutto come affrontarli».
Professore, lei è un liberale?
«Mi sono sempre definito un liberale di sinistra che ha creduto alla necessità di una forte coesione sociale per una domanda di benessere cui venisse data una risposta da chi governa. Oggi a questa domanda è difficile rispondere, perché la politica ha perso peso, altri poteri sono venuti avanti con veemenza e con forza, bisognerebbe ritrovare equilibrio, ma costruire continuamente un nemico non aiuta la coesione sociale».
Siamo in crisi, in una forte crisi, cosa possiamo fare per uscirne?
«E' tutto molto difficile, l'aumento delle disuguaglianze nella società rischia di stritolare le democrazie. Allora il rompicapo per la filosofia politica contemporanea è come rispondere alla globalizzazione con criteri di giustizia sociale. Perché il nostro "paesaggio sociale" è popolato da una serie di diseguaglianze dovute a una forte concentrazione di individualismo che provoca una regressione degli individui in ordini, ceti e caste. Se appartieni a un ceto, a una casta, vai avanti, diversamente la tua esistenza è segnata per sempre. Dimentichiamoci il merito e le eccellenze, sono parole vuote con le quali spesso si confondono le idee. L'ascensore sociale è bloccato e questo indebolisce anche i processi democratici. Se sei nato a Scampia non hai possibilità di riscatto, trent'anni fa sì».
Lei è un lettore molto robusto. Quali sono i suoi libri preferiti?
«Molti libri, tra lavoro, incontri e hobby. Ho letto L'idea di giustizia di Amartya Sen, One world di Peter Singer e Povertà mondiale e diritti umani di Thomas Pogge. Ci sono poi i libri che mi chiedono di presentare, di discutere, di scriverne. Penso a Di vita si muore di Nadia Fusilli. Determinanti sono stati e sono tuttora poeti come Baudelaire, Mallarmé, Valery, Rimbaud. Rileggo anche Ovidio e Eliot. Soprattutto poesia, dunque. Alla letteratura pensa mia moglie Nicoletta che mi ha fatto scoprire Jan McEwan, Paul Auster e Philip Roth».
Il suo nuovo libro?
«Uscirà a breve e s'intitolerà Un'idea di laicità (Il Mulino). Si tratta di un piccolo saggio in cui intendo dimostrare che la laicità ha un grande valore, soprattutto oggi in cui le democrazie perdono colpi».
Per chiudere un cerchio che non si chiude.

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