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Martedì 30 Luglio 2013 - Libertà

La passione di un grande "contestatore"

Fiorentini: polemizzava con Clocchiatti ai comizi, ma c'era rispetto fra i due

Non appare improprio il paragone tra lo "stile" e l'impronta del cardinale Ersilio Tonini con quello che sarà lo stile di Papa Francesco, ai giorni nostri, entrambi uomini di una vastissima cultura che non fa velo alla cordialità profonda della comunicazione, ad una semplicità intensa e carismatica, ad una propensione per gli ultimi.
Ed è così che emerge Tonini, uomo capace di parlare già con il suo solo volto, dalla biografia firmata nel 2004 dal professor Fausto Fiorentini ("Ersilio Tonini, cardinale piacentino" edito dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano). Il libro è nasce per volontà stessa della Fondazione in occasione dell'attribuzione a Tonini dell'Angil dal Dom.
Come si pose Tonini di fronte a quel lavoro biografico?
«Ho un ricordo molto netto, sono andato a trovarlo a Ravenna per intervistarlo, mi sono documentato su di lui. Da giornalista qual era pensavo volesse controllare il testo, invece non ha letto le bozze, non ha voluto rivedere nulla. Mi disse scherzando, sì voi giornalisti fate quello che volete. Al momento ci sono rimasto un po' male, poi so che ha apprezzato».
Comunque una fiducia totale, insolita.
«Sì mi ha molto meravigliato».
Da cosa fu più colpito in quegli incontri?
«Dal fatto che mi ripeteva, ogni volta che lo incontravo, il suo profondo attaccamento alla famiglia, è noto che spesso citava in dialetto la mamma e il padre, ma altrettanto spesso sottolineava di essere il figlio di questa terra piacentina e il suo amore per le origini, per una terra povera, per il lavoro. E' la prima caratteristica che mi ha colpito».
C'è chi, come il senatore Alberto Spigaroli, ricorda che in anni di forte polemica politica nel Dopoguerra, Tonini non si sottraeva certo al dibattito, sapeva rispettare l'avversario pur in un'accesa dialettica conflittuale, mai offensiva però.
«Tonini appena uscito dal seminario prese in mano la direzione del settimanale cattolico Il Nuovo Giornale (nel 1947, ndr) e in effetti infuriava il conflitto con i comunisti. C'era l'onorevole comunista Amerigo Clocchiatti, che Tonini stimava molto. Un commissario di pubblica sicurezza mi ha confidato che ai comizi Tonini, mingherlino com'era, si ficcava nell'agone e controbatteva alle tesi esposte sul palco, polemizzava, rendendo la vita difficile ai poliziotti che dovevano in qualche modo proteggerlo. Era duro nella sua posizione, ma il rispetto reciproco c'era. I politici di oggi avrebbero molto da imparare da questi tempi, Tonini sapeva polemizzare senza mai offendere. Quando morì Clocchiatti fece arrivare a Libertà una lettera di condoglianze per sottolineare un rapporto autentico fra loro».
Come giornalista e direttore di giornale, quale ricordo ne ha?
«Non l'ho avuto come direttore, ma di certo ha rilanciato Il nuovo Giornale uscito da un ventennio in cui i cattolici cercavano di "barcamenarsi". Da grande giornalista, aveva il dono della semplicità, sebbene fosse uno studioso, parlava diverse lingue, teneva nel suo studio a Casa Santa Teresa giornali tedeschi, inglesi e francesi. Del settimanale cattolico fece un giornale di battaglia molto intelligente negli anni del conflitto tra democristiani e comunisti. Mentre infuriava una lotta politica e ideologica, lui, che veniva da una famiglia di agricoltori, si interessava piuttosto del sociale, dei temi del lavoro».
Quando fu vescovo di Macerata e Tolentino nel ‘69 attuò una coraggiosa riforma agraria cedendo ai contadini i terreni della diocesi. E rimase famosa nel 1988 la campagna nazionale per la raccolta di fondi per l'acquisto di mucche per gli indios Yanomani e per la restituzione delle loro terre.
«Aveva una forte impronta sociale, si interessava anche dei giovani in difficoltà, a Ravenna aprì una sezione del Ceis per l'aiuto di ex tossicodipendenti nei suoi appartamenti e fu in prima linea quando ci furono i morti nella stiva della nave "Elisabetta Montanari", Tonini era là ad assistere, ad aiutare».
Colpiva del cardinale, anche nelle interviste degli ultimi anni, questo senso adolescenziale di meraviglia per il mondo.
«C'era un Tonini innamorato nella vita, e per la verità questo si sente in altri ultra novantenni, gente che arrivata così avanti negli anni ringrazia il Signore di esserci e trova bellezza nell'esistenza».
Come incastona la figura di Tonini nella linea delle alte gerarchie che Piacenza ha espresso sul piano nazionale?
«Piacenza è stata chiamata la fabbrica dei cardinali, ma a differenza di altri, Tonini veniva dalla pastorale. Ha fatto il seminarista, il prete, il giornalista in prima linea e come cardinale non era chiuso in una gabbia d'avorio, decidendo, per esempio, di vivere nel Centro Santa Teresa e di rinunciare all'appartamento in curia. Altri cardinali piacentini, penso a Casaroli, a Oddi, sono "specialisti", in gran parte vengono dalla diplomazia, uomini di grande spessore, Casaroli fu segretario di Stato e diplomatico, i loro gradi il sistema glieli doveva, ma è stato chiamato Tonini, come cardinale, a predicare gli esercizi a Papa Paolo Giovanni II che riconosceva in quest'uomo la voce del Vangelo».

Patrizia Soffientini patrizia.soffientini@liberta.it

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