Giovedì 20 Giugno 2013 - Libertà
Opera monumentale su De Longe
L'ultima impegnativa fatica editoriale dello storico
L'ultima impegnativa fatica editoriale di Ferdinando Arisi era stata la monumentale monografia su Roberto De Longe, pubblicata dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano, per i tipi della Tipleco. Un volume scritto a più mani che gli aveva offerto l'occasione per tornare a studiare quel vivacissimo periodo coinciso con l'avvio, nel 1680, del cantiere voluto dal duca Ranuccio II per rendere più sontuoso Palazzo Farnese. Numerosissimi artisti furono coinvolti nei lavori, tra i quali il De Longe, fiammingo di nascita e piacentino d'adozione.
Il 4 luglio, festa di Sant'Antonino, con uno sguardo al libro, si potrà dunque guardare con più attenzione al racconto per immagini della vita del martire nei grandi teleri del presbiterio della basilica intitolata al patrono della nostra città. Sono infatti tra le opere più importanti dell'artista fiammingo, insieme ai bozzetti di particolare freschezza espressiva custoditi nel museo della parrocchiale. Ma è l'intero volume a suggerire percorsi di visita nelle chiese di città e provincia, dove il pittore ha lasciato traccia di sé.
Soprattutto però il libro si impone per il particolare approccio così tipico di Arisi, interessato a "cercare di capire chi era il De Longe, come la pensava, come la sentiva", quasi in un tentativo di entrare in dialogo con l'animo dell'artista. Gli stessi documenti venivano utilizzati non per un'arida ricostruzione di nomi, circostanze, date, ma per un ritratto partecipe del pittore. Per esempio, emerge che De Longe non possedesse una propria casa a Piacenza: "Abitava come pensionante presso la famiglia del pavese Giuseppe Pecchi, seguendola nei suoi spostamenti. Pecchi aveva due figlie: la minore, Marianna, era stata tenuta a battesimo da De Longe, la maggiore, Paola, era stata da lui beneficata quando si era sposata e l'aveva ricordata nel testamento. Possiamo dedurne che l'artista si era affezionato alle due bambine, come fossero sue figlie. Cambia tutto. Non era uno scapolo impenitente come ipotizzato dai biografi cremonesi, ma un benefattore".
Anche la lettura delle opere cercava di andare al di là di considerazioni puramente tecniche e iconografiche. Nel Transito della morte di San Giuseppe per Arisi era identificabile quasi una sorta di identificazione del pittore con il padre putativo di Gesù. "Sotto certi aspetti, erano scapoli entrambi, in quanto il matrimonio di Giuseppe con Maria non era mai stato consumato. Quando Giuseppe muore, nel dipinto si rivolge al Figlio, mentre la Madonna rimane in disparte, separata dall'apparizione di un angelo. Gli angeli sono stati la "persecuzione" di Giuseppe, che non ha mai potuto fare niente di testa sua e nella chiesa di via Campagna non a caso sono una presenza ricorrente".
La cifra creativa dell'artista era improntata a un versatile eclettismo: "Prende ciò che gli piace, ma lo trasforma". E nel volume si susseguono i puntuali confronti con Carlo Cignani e Domenico Piola a conferma.
ans.