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Martedì 25 Giugno 2013 - Libertà

«La cultura è la nostra energia rinnovabile»

Massarenti, direttore del domenicale del Sole 24 Ore, oggi a Palazzo Rota Pisaroni

di ALFREDO TENNI
Non è vero che «la cultura è il nostro petrolio», come recita il luogo comune. La cultura è molto meglio: è la nostra più importante energia rinnovabile, perché non si esaurisce mai. Anzi, la cultura, valorizzata, produce nuova cultura».
La battuta - un ottimo esempio di "slogan involontario" - è di Armando Massarenti, il filosofo della scienza noto al grande pubblico perché dirige "Domenica", il glorioso supplemento culturale del quotidiano Il Sole 24 Ore. Ed è un assaggio che dà l'idea dei contenuti della conferenza, intitolata La cultura come forma di sviluppo e formazione, che Massarenti terrà oggi pomeriggio alle 18 a Palazzo Rota Pisaroni, sede della Fondazione di Piacenza e Vigevano, in via Sant'Eufemia 13. Massarenti è riuscito a guadagnarsi in questi anni una platea sorprendentemente vasta per un epistemologo grazie a una capacità rara all'interno della categoria: quella di parlar chiaro. Sul supplemento domenicale de "Il Sole", il Nostro (che vi scrive dal 1986) ha acceso nei suoi lettori l'interesse per la filosofia trattando in chiave filosofica argomenti di attualità e di vita quotidiana (la prassi è diffusa nel mondo anglosassone, per non parlare dell'antica Grecia, ma da noi è ancora oggi quasi eretica). Libri fortunati come Il lancio del nano e altri esercizi di filosofia minima e Dizionario delle idee non comuni (Guanda), e perfino un bellissimo innovativo manuale per le scuole (Filosofia. Sapere di non sapere, scritto con Emiliano Di Marco per D'Anna), hanno applicato questo approccio incrementando le schiere dei suoi lettori. Ma lo scritto di Armando Massarenti che ha riscosso l'eco più vasta è stato molto probabilmente il suo Manifesto della cultura, pubblicato nell'estate del 2012 sulle pagine de Il Sole 24 ore, che al "governo dei professori" di Mario Monti lanciava un guanto di sfida e, al tempo stesso, un appello accorato: l'Italia, «un Paese di analfabeti seduti su un tesoro» nelle parole di Massarenti, doveva (deve) investire nella cultura, spendendovi denaro, ambizioni e progetti molto più di quanto non si fosse (sia) abituata a fare, se voleva (vuole) sottrarsi al suo declino e tornare a crescere».
Professor Massarenti, la sua conferenza alla Fondazione prende le mosse dal suo manifesto di un anno fa?
«Sì, perché quel manifesto non ha certo perduto di attualità. L'Italia ha bisogno di consistenti investimenti, pubblici e privati, nel mondo della cultura, che invece è la cenerentola dei bilanci pubblici. I fondi che destiniamo alla cultura sono risibili, sia in termini assoluti che in relazione al Pil. L'archeologo Andrea Carandini, ex direttore generale dei Beni Culturali, aveva dichiarato, sconsolato, che il suo Ministero aveva a disposizione 40 milioni di euro da dedicare al restauro di palazzi storici e alla valorizzazione di siti archeologici; 40 milioni di euro in un Paese che ha una concentrazione di bellezze senza eguali al mondo».
Ma che cosa intende, concretamente, per "investire in cultura"? La parola "cultura" si applica a tante realtà diverse.
«Intendo la parola nel senso in cui la utilizza l'articolo 9 della nostra Costituzione: "La Repubblica" (e quindi non lo Stato, ma qualcosa di più: ciascuno di noi) "promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione". Come ha detto il presidente Napolitano, questo articolo è lungimirante perché ha un concetto di cultura dinamico e non statico, vede la cultura come qualcosa che cresce e e si modifica con il tempo e va aiutato in questo suo crescere».
Ma, secondo lei, un governo saggio, oltre ad aumentare i finanziamenti alla cultura, come dovrebbe ripartirli? Più soldi ai beni artistici o alla ricerca scentifica?
«A tutti e due, anche perché cultura umanistica e scientifico-tecnologica possono benissimo andare a braccetto: penso alle digital humanities, la digitalizzazione del nostro immenso patrimonio artistico e letterario, che nel nostro Paese non è mai decollata».
Il suo pensiero, quindi, è esattamente agli antipodi della frase attribuita a un noto ex ministro secondo cui «la cultura non si mangia».
«Tremonti ha sempre smentito di avere pronunciato questa frase. Ma la frase in sé è un eccellente riassunto di un modo di pensare che, purtroppo, è diffuso nelle zone più ricche del Paese: c'è un abbandono scolastico preoccupante anche in Lombardia e in Veneto, non solo al Sud. Ma non possiamo illuderci che le "fabbrichette" ci salveranno, con la concorrenza dei Paesi emergenti, le cui manifatture hanno costi che non possono competere con i nostri. Possiamo salvarci solo con "start-up" creative, aziende che realizzino prodotti con un alto valore aggiunto intellettuale. Ma, per arrivarci, occorre una strategica inversione di rotta. Non possiamo restare il Paese in cui l'"analfabetismo funzionale", cioè l'incapacità di comprendere un semplice testo scritto, affligge il 47 per cento dei cittadini. Il Paese di cui già nel 1973 il fisico Giuliano Toraldo di Francia scriveva, con una frase terribile: "L'Italia è un Paese in via di sottosviluppo"».

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