Domenica 16 Maggio 2004 - Libertà
Un "geloso sincerato" tra colori e fantasia
MUNICIPALE. Applausi alla prima dell'opera di Nicolini. Bella prova dell'orchestra "Zanella" diretta da Dorsi. Interpretazioni leggiadre e vivaci, con la preziosa regìa di Dara
Giuseppe Nicolini: chi era costui? Niente di più probabile che l'inquietante interrogativo arrovelli le mentì dei più: certamente quelle dei non-piacentini, ma purtroppo anche di non pochi dei nostri. Propriamente, Nicolini non si può definire "Carneade", anche se oggi la sua memoria si affida, in Piacenza, esclusivamente al nome di una via fortunatamente non periferica e all'intitolazione del Conservatorio di musica - già Scuola di musica, detta infatti un tempo "la" Nicolini - di cui l'operista fu eletto intestatario nel 1914. Per non dire delle "voci", degli "articoli", delle trattazioni che in dizionari, enciclopedie, storie della musica, repertori vari, in particolare nella recente, monumentale Storia di Piacenza, ne illustrano opere e giorni, morte e miracoli, ovviamente rinserrati in una sfera di erudizione, di documentazione erudita negata o ignota ai più. Degno comunque, Nicolini, di essere incluso dal piacentino patrizio Pietro Salvatico nel suo noto carme Le patrie glorie a perpetua memoria. Memoria che è doveroso riservargli e rinverdire, anche perché del quadrumvirato lirico fiorito fra Settecento e Ottocento, di cui un tempo Piacenza poteva gloriarsi o presumeva di potersi gloriare, oggi Nicolini parrebbe l'unico superstite, l'unico che possa vantare sicure radici piacentine, di recente negate invece, sempre sotto condizione di definitiva verifica, a un Vincenzo Legrenzio Ciampi (per di più, acclamato prestanome del Gruppo strumentale istituito dal benemerito Giuseppe Zanaboni, a un Sebastiano Nasolini, le cui ascendenze punterebbero invece a un'area veneta, o a un Geminiano Giacomelli, che assiduamente operò a Piacenza, ma senza ombra di dubbio nacque a Colorno. Ahinoi, il nostro piccolo o grande Olimpo musicale depauperato di ben tre dei suoi semidei! Ecco perché, fra le tante ragioni, l'attuale operazione di verifica, indetta dalla Fondazione Toscanini e attuata dalle giovani forze del nostro Conservatorio, riesce positiva, producente. Se non altro, un necessariamente limitato, ma incontrovertibile punto fermo. Possibile che colui che tanti allori mietè in vita, sfornando con occhio vigile alle esigenze del "mercato" quarantacinque opere (esclusi i rifacimenti e le dubbie attribuzioni) fra serie e buffe, rappresentate in primari teatri italiani ed esteri ed esegite dai più celebri virtuosi dell'epoca, dai soprani Colbran, Pasta, Billington, Catalani al contralto Ungher Sabatier, ai tenori Donzelli, Tacchinardi, David, Crivelli, Nozzari, ai nostri Rosmunda Pisaroni e Claudio Bonoldi - autentico gotha della lirica d'allora - non rosea fruire di un minimo di risurrezione? Purtroppo, gravano sul suo capo valutazioni pregiudizievoli. Additato concordemente come uno degli ultimi rappresentanti delI'ancien régime ovvero del tardo Settecento napoletano (non per niente, al napoletano Conservatorio di Sant'Onofrio si era formato), Nicolini si attarda - e con lui non pochi altri si attardano a ricalcare i moduli senescenti di tale koiné linguistica, quando incalzavano vividi e irresistibili i fermenti di una stagione percorsa da una frenetica ansia di rinnovamento, sintetizzabile al sommo in un nome, Rossini, e nella sua sovvertitrice forza d'urto, cui peraltro il leale Nicolini ebbe a tributare un franco riconoscimento. Ma un franco riconoscimento spetta pure a lui, alle sue facoltà di abile artigiano del suono, alla sua vena facile e fluente, alla sagace pertinenza del suo strumentale, alla sua peculiare propensione al genere "buffo" (benché certe sue arie "serie" spicchino singolarmente per pregnanza espressiva) - propensione che si aggiudicò una menzione onorevole finanche da parte dell'autorevole e Francesco Florimo, pur alieno dall'ammettere in Nicolini il "genio della creazione". E opera buffa sia! La presente riproposta rivela oculatezza di scelta entro il mare magnum della produzione del Nostro. Oltretutto genere buffo genericamente inteso sbandisce per quanto possibile, in grazia di un insito dinamismo, le insidie della staticità, le secche dell'immobilismo sempre in agguato nel comparto del genere "serio", che comprende fra l'altro quel Traiano in Dacia cui arrise, vivente l'autore, la maggiore fama (prova ne sia, fra le tante, la partitura conservata in manoscritto nella Biblioteca del nostro Conservatorio di musica, con il testo del libretto di Michelangelo Prunetti in traduzione tedesca) e che oggi risulterebbe, per riunirne ragioni, assai difficilmente riproponibile. Ci si appaghi allora di questo più abbordabile Geloso sincerato, che sostanzialmente si attiene senza vistose eccezioni alle linee-base del comporre di Nicolini. Senza sottacere, a onor del vero, che esso si dipana con assoluta sicurezza di mano e con discreta autonomia d'ideazione, pur fra più o meno velati richiami mozart-cimarosiani e cauti presagi rossiniani (come dire, fra due fuochi), confermando nel musicista quello che generalmente si definisce un buon minore, prono all'imperativo categorico di riuscire comunque piacevole e rassicurante, schivando per lo più le morte gore dell'ovvietà. Opportuna, affettuosa, reverenziale - ribadiamo - l'azione di verifica, per valori e disvalori, di Nicolini; purché non ci si illuda che l'odierna ripresa si tramuti da temporanea in definitiva. Fra i molti casi analoghi, valgano come precedenti i seri processi di rivalutazione avviati in occasione di ricorrenze e anniversari per un Antonio Salieri, per un Saverio Lercadante: l'uno schiacciato da Mozart, l'altro sovrastato forse immeritatamente dai quattro grandi dell'Ottocento italiano, entrambi ripiombati nel silenzio. Piuttosto, valga a suggello la concretezza di un dato cronistorico: il concerto in sé eccezionale di musiche nicoliniane, 19 febbraio 1942, commemorativo del primo centenario della scomparsa - Teatro Municipale, direttore Antonino Votto, soprano Linda Barla Castelletti, orchestra del Municipale. In programma: Sinfonia in si bem. maggiore, aria dall'Annibale in Bitinia, sinfonia del Carlo Magno. Da allora tutto taque, per cui l'attuale evento si può ben definire epocale. Da quanto tempo non s'inscenava un'opera di Nicolini? La complessa azione di ricupero ha richiesto un apporto corale, a innumeri mani. All'origine, come premessa essenziale, si considerino l'accuratezza e la pazienza certosina con cui, una volta concluse le estenuanti ricerche dell'unica partitura completa, si è pervenuti alla revisione musicale da parte di Massimo Venuti e alla definitiva edizione critica del libretto da parte di Guglielmo Pianigiani. Sotto la Direzione vigile, amorevolmente didascalia di Fabrizio Dorsi, instancabile nel "provare e riprovare", accorto nell'equilibrare agogica e dinamica, l'orchestra sinfonica "A. Zanella" ha conferito un apporto seriamente professionale alla riuscita dello spettacolo, confermandosi come realtà viva e consolante, in fase di crescita, scaturita dalla nostra maggiore istituzione musicale e meritori patrocinata dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano (già lo si scrisse nella Storia di Piacenza, è giusto riscriverlo qui). Menzione speciale per Alberto Dossena, maestro al cembalo deputato ai recitativi. Quanto alla compagnia di canto, non è il caso di stilare una pretenziosa, cattedratica graduatoria di merito. L'intricata trama del Geloso convoca in scena un variegato drappello di personaggi, cui le giovani leve di canto del nostro Conservatorio conferiscono acconcia fisionomia vocale e scenica, frutto di disciplina, di spirito di squadra, di diuturna applicazione, si tratti indifferentemente di ruoli più o meno primari. Oltre all'unico professionista del gruppo, Valente Salvini, che delinea un pittoresco colorito Don Prospero, si cimentano -certezze o promesse in fieri - Mauro Bonfanti (marchese Cicellini), Sag Ouk Park (Don Matusio, protagonista), Gianluca Pasolini (Lelio), Tanabe Orie (Benerice), Francesca Cassinari (Errighetta) e Roberta Mameli (LIvia). Ad ambientare il tutto intervengono i fondali scenici di Emanuele Luzzati, che, malgrado il conio non freschissimo, riescono fantasiosi, suggestivi, dilettosi, soprattutto consoni alla lievità della commedia. Preziosa, determinante si configura la regìa di Enzo Dara, maturata su una pluridecennale esperienza di palcoscienico e su una sovrana dimestichezza con la comicità in musica. Comunque la si riguardi, la riemersione dell'operista Nicolini, per il tramite del suo Geloso sincerato, s'iscrive a pieno merito nella storia musicale di Piacenza. COROLLARIO. La lunga teoria di palchi vuoti e di gallerie semivuote induce un senso di squallore, di deprimente indifferenza. Per un evento del genere, parmigiani e cremonesi si sarebbero mobilitati in massa.
Francesco Bussi