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Giovedì 23 Maggio 2013 - Libertà

Gianni Azzali, direttore artistico della kermesse, traccia un bilancio della manifestazione. «Per il prossimo anno più qualità e meno quantità»

di PAOLO SCHIAVI
Due lustri di Piacenza Jazz Fest. Archiviata la decima edizione, è tempo di bilanci. Un occhio al passato e uno al futuro. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Gianni Azzali, direttore artistico e presidente dell'organizzazione, il Piacenza Jazz Club.
Come si suole dire, tiriamo la riga: facciamo un po' di numeri.
«Abbiamo registrato una flessione del 20% circa sui biglietti staccati, dovuta senz'altro alla crisi. La partecipazione agli spettacoli gratuiti invece è cresciuta. Ciò significa che si è allargato il bacino, grazie anche ad iniziative trasversali come la rassegna Cinema di jazz al Teatro Filodrammatici, di cui l'associazione Amici del Teatro Gioco Vita è stata molto soddisfatta, e i consueti aperitivi live al Centro commerciale Il Gotico. È la semina che dà i suoi frutti. Bene anche le attività formative e divulgative per il pubblico "di fascia alta". Il concerto in carcere resta emblematico della missione: diffondere a tutti i livelli un linguaggio che è stato proclamato patrimonio dell'umanità Unesco e viene celebrato in tutto il mondo il 21 aprile, quando avremmo avuto il concerto di Mauro Ottolini & Sousaphonix in Piazza Cavalli, se non avesse piovuto».
Dieci anni son passati. Un'occhiata indietro e una avanti.
«Abbiamo sempre mantenuto un'impostazione all'insegna della varietà. Concerti molto diversi l'uno dall'altro e nessun filone tematico, per mostrare ad ogni edizione tutte le facce del jazz. Un'occhiata indietro: il festival non è più una scommessa, abbiamo un pubblico più solido, fedele e partecipativo. I cartelloni sono stati sempre buoni ma la crisi si è fatta sentire. Se la qualità è rimasta intatta, la "mediaticità" no. Per dire: Burton ha più appeal di Lockwood, De Piscopo più di Rubalcaba. L'alone mediatico però ha un costo e abbiamo sempre cercato di non sprecare i soldi, tenendo in equilibrio i due aspetti. Questa edizione lascia tanta voglia di fare, la sensazione è di essere diventati grandi, come se avessimo preso il diploma. Speriamo di giocarci questo scatto di curriculum per dare uno sviluppo esponenziale al festival».
Quella che si è chiusa però è stata un'edizione ricchissima.
«Una delle più articolate di sempre, per festeggiare degnamente il decennale. Un'edizione sostenibile: nonostante la crisi, vista la ricorrenza, Fondazione di Piacenza e Vigevano, sponsor e Comune hanno fatto uno sforzo. Sfumato l'effetto "compleanno" sono però convinto che saremo ancora in crescita: non dal punto di vista quantitativo, si cercherà piuttosto di lavorare sulla caratura dei "nomi" conservando l'esistente, eccetto la rassegna Jazz Club! al Milestone, che non ha aggiunto il quid sperato».
La soddisfazione più grande di questa decima edizione?
«Aver pronunciato "dieci" dal palco. Fa il suo effetto».
Qualcosa che avrebbe potuto girare meglio.
«Il clima del 21 aprile».
Il concerto più emozionante.
«Javier Girotto con Aires Tango, ma da sassofonista so di essere di parte».
Quello tecnicamente più difficile.
«Rubalcaba, come ascolto. Da una prospettiva organizzativa, Miles Smiles: molte difficoltà tecniche e logistiche, che però abbiamo fronteggiato da buoni navigatori».
Quello più acchiappante.
«Ottolini, ma anche Gary Burton: elettricità allo stato puro».
Quello sognato per la prossima edizione.
«Sonny Rollins, ma costa 90.000 dollari. 30 o 40.000 per Corea o Hancock sono sempre cifre enormi, ma possono paradossalmente risultare più abbordabili dei 10.000 per un nome minore per l'aura che li circonda, per l'attrattiva che esercitano sugli sponsor».
Attorno ad ogni Jazz Fest hanno ruotato alcuni progetti, realizzati, dall'intitolazione del Parco Armstrong al Cd con i gruppi del concorso "Bettinardi". Altri sono ancora sulla carta.
«Resta il desiderio di tornare al Municipale con almeno un concerto, per arrivare a trasferire nel Teatro l'intero cartellone del ventennale. E sottotraccia si lavora ancora alla maratona improvvisativa di 24 ore al Milestone, una goliardata da Guinness dei primati; alla "notte nera" di concerti contemporanei per la città; e al "tram del jazz", che a Piacenza potrebbe tradursi in un autobus che si sposta suonando a sorpresa in vari punti della città».

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