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Giovedì 23 Maggio 2013 - Libertà

La teologia riflette sulla crisi

Domani Petrosino, Salmeri e Trianni a confronto sull'uomo economico
All'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano verranno presentati gli atti di PiacenzaTeologia 2012

piacenza - A PiacenzaTeologia il pensiero teologico e filosofico si confrontano con la crisi economica. In occasione della presentazione degli atti di PiacenzaTeologia 2012, domani sera all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano alle 21.15 parleranno "Sull'uomo economico" Silvano Petrosino (Università Cattolica di Milano e di Piacenza), Giovanni Salmeri, (Università Tor Vergata di Roma), Paolo Trianni, (Pontificia Università Gregoriana di Roma).
Affrontando il tema economico, la riflessione teologica si interroga sul compito che Dio ha affidato all'uomo di "coltivare e custodire" il creato: "Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse" (Gen. 2,15). La questione economica fondamentale riguarda dunque il modo in cui l'uomo è chiamato ad abitare la casa che gli è stata affidata; l'economia - così come è stata affrontata nell'edizione 2012 di Piacenza Teologia - tratta della legge (nomos) che deve guidare la casa (oikos) dell'uomo.
La progressiva focalizzazione del neoliberismo sulla soddisfazione dei bisogni si accompagna a disequilibri e profonde lacerazioni negli ambienti di vita ci rendono sempre più consapevoli che l'uomo, nel suo modo di abitare, nella sua oikonomia, quando coltiva e custodisce è capace di creare e distruggere in modo assolutamente differente dagli animali. La ferocia dell'uomo nei confronti del suo simile supera tutto ciò che possono fare gli animali, scrive Lacan, ed aggiunge: "Ma anche questa crudeltà implica l''umanità".
L'uomo non costruisce la sua casa come un castoro, e neppure la abita come fanno le api in un alveare. Il senso, potremmo dire, "drammatico" dell'abitare umano riguarda il suo specifico modo di esistere, a cui ogni teoria economica deve, anche implicitamente, riferirsi.
Chiarificatrice l'osservazione espressa da Mauro Mantovani in un recente convegno sulla crisi economica: «La società capitalistica odierna ci porta a sintonizzarci sulla prospettiva dell'"emo ergo sum" (compro quindi sono, I shop therefore I am), e non mancano vari interventi di autori che convergono nell'identificare proprio nel capitalismo liberista senza limiti e nei suoi meccanismi pubblicitari spinti all'eccesso la causa stessa di tante derive riscontrabili nel mondo occidentale, facendoci diventare da "consumatori" a "consumati"».
Spiega David Harvey che la crisi del 1987, date le condizioni descritte, era altamente prevedibile. Assume infatti un aspetto quasi paradossale la sorpresa di tanti economisti di fronte ai sempre più laceranti rivolgimenti economici. Silvano Petrosino, autore a PiacenzaTeologia 2012 della Lectio magistralis che ha introdotto il tema, scrive significativamente: "La mia impressione è quella di una sorta di falsificazione, il più delle volte addirittura inconsapevole, delle vere questioni che affliggono l'avventura umana" (Pensare il presente, ed. Berti 2013).
Dopo la crisi del 2008 è francamente irritante ascoltare certe spiegazioni anche da parte di rinomati economisti, quando scrivono che tutto è successo perché i top manager "hanno operato - scrive R. J. Schiller - sulla base della congettura errata che le agenzie di rating fossero infallibili". Dunque è stato tutto un errore di calcolo, basta correggerlo perché il sistema funzioni.
Tuttavia non tutti la pensano in questo modo. Alcuni economisti si spingono a domandarsi quanto è abbastanza ed a cercare - come fanno E. Skidelsky e R. Skidelsky - la "giusta misura". Un tale interrogativo spesso si risolve in esortazioni ad intraprendere atteggiamenti diversi che riguardano, ad esempio, la salvaguardia dell'ambiente od anche la necessità di una decrescita più a misura dell'uomo.
Ma appunto: qual è questa misura? Come possiamo rispondere agli interrogativi che pongono la questione di quando, e quanto, è abbastanza? "L'uomo - scrive Petrosino -, che oltre a essere come ogni altro vivente finito e mortale è soprattutto abitato/inquietato dal sapere di esserlo, è sempre un essere economico; il suo sapere di essere finito e mortale è infatti lo stesso che lo porta inevitabilmente all'economia: egli si mette a "fare economia" del proprio tempo e spazio, ma anche delle proprie forze e dei propri interessi, delle proprie passioni e dei propri legami, precisamente perché sa di essere finito e mortale. L'uomo non vive a caso ma sempre cerca anche di misurare e ordinare, di calcolare e pianificare, cioè di abitare la vita stessa in cui si trova gettato. Misurare/calcolare è il senso della ratio; da questo punto di vista non c'è razionalità senza economia, e l'abitare umano, qualsiasi forma esso assuma, è sempre un abitare economico".
L'abitare il creato è dunque sempre un abitare "economico". Come e perché l'uomo sta perdendo questa "misura" dell'abitare?

Enrico Garlaschelli

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