Lunedì 15 Aprile 2013 - Libertà
Aperta a Le Rotative con grande successo la kermesse, il saxofonista argentino con Aires Tango incanta la platea fra suggestioni latine ed energia folklorica
di PAOLO SCHIAVI
La primavera che esplode, il pubblico de "Le Rotative" che canta, lancia ovazioni e fa standing ovation e Girotto che ringrazia la sala per il calore e l'attenzione palpabili. Pensare che, proprio ieri, avrebbe avuto in ballo un ingaggio per andare a suonare per il Papa, «ma ho scelto Piacenza: era più importante essere qui». Che dire, un gran regalo per il decimo anniversario del Piacenza Jazz Fest. Un traguardo importante, sigillato da una partenza strepitosa.
Il festival targato Piacenza Jazz Club ha preso ufficialmente il via ieri sera allo Spazio "Le Rotative" di via Benedettine con il primo main concert del cartellone. Javier Girotto e i suoi Aires Tango, prossimi a festeggiare le "nozze di cristallo" per i 20 anni di attività, hanno eccitato e incantato la sala affollatissima dalla prima all'ultima nota. Un concerto di spessore corale, un suono curato, sofferto, piacevole e caratteristico, quello del gruppo del grande sassofonista argentino, ma anche atipico.
Un fluire rigoglioso e rigenerante di arie di tango e improvvisazioni jazzistiche, una miriade di varietà timbriche affogate in cromatismi sfumati e cangianti, ora lievi e sognanti, ora intensi e incisivi. Melodie senza tempo dal fascino irresistibile che trasportano come d'incanto nelle sterminate terre sudamericane, cariche di storia. Un andirivieni di passione e malinconia, accomunate dalla classica saudade di chi è lontano dalla terra d'origine e dal preponderare delle varianti ritmiche latine ma anche da una energia folklorica scoppiettante e contagiosa, lungo i binari di una sperimentazione che fa volare la mente verso paesaggi dai confini indefiniti, apparizioni immerse in sonorità che evocano i barrios e la pampa pur rimanendo vigorosamente vicine a movenze contemporanee.
Girotto è un musicista di espressività vibrante. Alessandro Gwis è un ottimo pianista, estroso ed elegante, il fraseggio intenso e intellegibile, ed eccelle anche nella gestione delle sobrie parti elettroniche che qua e là vestono i brani con una patina di sospesa fatalità. Le sue linee melodiche sinuose si avvolgono nelle esecuzioni sicure di basso e batteria, affidate rispettivamente ai gustosissimi Marco Siniscalco e Michele Rabbia. Quattro artisti di gran tatto e classe. Nell'insieme, una cosa sola. Alchimia umana, energia, concentrazione e positività.
Il quartetto snocciola una profonda riflessione in bilico tra jazz e tradizione argentina, musica "colta", spirito gaucho e la cultura di un intero popolo. Affreschi melodici seducenti e suggestivi che oscillano tra incipit luminosi e larghi e sviluppi sorprendenti, tra free e stilemi "vulcanici" sempre pronti a recedere fluidamente in toni pausati dal contenuto evanescente.
Tante emozioni, una girandola di sentimenti dominati da atmosfere elegiache, toni intimi, sofferti e melanconici. Temi limpidi, nostalgie e vitalità. La malia incantatrice di Girotto & Aires Tango passa per un suono morbido, profondo e una dinamica grandiosa. Sussurri e rigeneranti pioggerelle di note (e di una sterminata gamma di effetti percussivi) che si spalancano in crescendo esplosivi cavalcando una sanguigna varietà di increspature e venature che arrivano al gemito focoso per poi sciogliersi in una morbida carezza. Strutture che si ritrovano in Pasion albiceleste e nei chiaroscuri spiritati e formicolanti di Alborada. Pace dei sensi. Febbrile, franta e rumoristica la "boschiva" Caida lenta. Accenti liquidi, guizzi continui che alternano echi classicheggianti a linee cantabili di presa immediata: è "Caida lenta". Il senso della vita lascia spazio a calibrate dissonanze e impennate da brivido. Felliniana la è di nome e di fatto, magia selenitica e crepuscolare in stato di grazia, schioccante e a suo modo giocosa. 11 Mayo sfodera un passo svolazzante, aria di primavera e un pizzico di felicità.
A un tratto Girotto si avvicina al microfono. «Cari fratelli e sorelle, buonasera». Gioca a fare la parte del suo conterraneo Francesco, l'uomo del momento in tutto il mondo. Chiacchiera, snocciola aneddoti, racconta il suo antico legame col Piacenza Jazz Fest (fu ospite della 1ª edizione). Poi prende il flauto andino per intonare con pathos toccante il soffio dolce, addolorato e fiero di Abuelas de Plaza de Mayo. Pichuco sembra riprendere il tema precedente per poi farsi frizzante e pepata, briosa e marciante. Una cavalcata che porta all'esplosione coloristica de La luna - con incastonato un solo di sax miracoloso - e al bis canterino Mi niño, un medley zuccherino e giocoso di ninne nanne e melodie infantili.
La splendida serata si è aperta con i saluti di Gianni Azzali, presidente del Piacenza Jazz Club e direttore artistico della manifestazione: ringraziamenti alle editrici di "Libertà" Donatella Ronconi ed Enrica Prati per l'ospitalità, alle istituzioni e alla Fondazione di Piacenza e Vigevano per il cruciale sostegno. Il sindaco Paolo Dosi ha elogiato lo spessore del festival e quel suo essere apice di un "sistema jazzistico" radicato e cementato capace di far fronte ai venti di crisi. Il suo augurio, tra altri dieci anni, è di poter festeggiare il ventennale. Ed è anche il nostro.