Giovedì 11 Aprile 2013 - Libertà
Romano Dodi, un dialogo poetico con l'Assoluto
Domani in Fondazione l'autore presenta i tre volumetti "Pedro", "l'Akrita" e "Mistràs"
di DONATA MENEGHELLI
«Credo fermamente che ogni segno sia simbolo, luogo di passaggio all'Altro e all'Oltre. Ma perchè ciò avvenga, tutto dipende da noi; questo, almeno, e ciò che ho cercato di dire». Così ci dice Romano Dodi, autore di una trilogia di densi e preziosi libretti di prosa poetica intitolati Pedro, pubblicato nel 2003 l'Akrita edito l'anno dopo (sempre da editrice Berti) e Mistràs arrivato come ultima tappa del viaggio. Un viaggio (per chi quei frammenti ha scritto ma anche per coloro che vi si accostano come lettori) che esige silenzio e tempo. «Ogni tempo matura la sua significanza», dice il professor Dodi.
E' trascorso tempo anche tra la pubblicazione di un volumetto e l'altro della trilogia, che ora viene presentata unitariamente, per la prima volta: l'appuntamento è per domani alle 17 all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano in via Sant'Eufemia. Oltre all'autore interverranno Tiziana Albasi, assessore alla cultura e Giovanni Marchioni, direttore dell'Ufficio Diocesano di Pastorale della Scuola. Intermezzi musicali eseguiti, all'arpa, dalla talentuosa Sara Pavesi.
Nei libretti anche le scelte grafiche e tipografiche sono segni con un loro significato: si prenda ad esempio la distribuzione del testo e lo spazio bianco lasciato sulla pagina. E' una "rappresentazione visiva" della scelta di procedere "per frammenti", come spiega l'autore stesso: «Lo spazio deve rimanere il luogo dove si può collocare la riflessione del lettore. Il "pieno" avrebbe eluso questo intento. Questo nasce come un testo aperto. Il lettore è chiamato a costruirlo con la propria esperienza».
Ogni frammento ha una pulizia, una perfezione formale e stilistica, una musicalità, una densità, che stupirà il lettore. Ma non di uno stupore momentaneo e istantaneo, bensì che dura e si dilata.
Il primo volume si intitola Pedro, il nome di una persona. Il fulcro di questa prima tappa del viaggio è l'essere nella sua adolescenza e giovinezza. Il secondo volume richiama ad un ruolo: l'Akrita, che significa la sentinella, la guardia di confine. Qui il confine è quello dell'Impero bizantino ormai in decadenza. L'ultimo volume è la smaterializzazione assoluta: è Mistràs, ovvero non un soggetto umano, ma un luogo, una città bizantina nel Peloponneso. «Mistràs è anche una sorta di non luogo - spiega l'autore - perché è una città in rovina. E' il faro della cultura bizantina, in tempi in cui la caduta dell'Impero assumeva dimensioni ormai catastrofiche e la caduta di Costantinopoli era imminente. La civiltà bizantina è la sintesi della cultura greca e romana, cerniera tra l'Antico e il Moderno, ponte tra Oriente e Occidente; la civiltà bizantina fu capace forse più di altre di cogliere l'immediata relazione tra simbolo e significato. Si prendano i mosaici di San Vitale a Ravenna. Gli imperatori Teodoro e Giustiniano non andarono mai a Ravenna eppure è come se ci fossero stati». Il simbolo richiama al sacro. «Ciascuno di noi è una storia sacra», dice Dodi i cui frammenti sono un dialogo interiore profondo con l'Assoluto. Ed ecco che quella prosa poetica, quella Parola, si fa sempre più Preghiera.