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Lunedì 8 Aprile 2013 - Libertà

Trovatore, la vendetta tremenda

In scena un'opera discontinua, con momenti di grande fascino

piacenza - "Egli era tuo fratello, sei vendicata o madre", il cerchio si chiude, la vendetta tremenda (quello della vendetta per pareggiare i conti è tema ricorrente con cui Verdi ama misurarsi), è realizzata nel drammone Il Trovatore, da quello di A. Garcia Gutierrez, al libretto di Cammarano, portato a termine da Emanuele Baldare.
Il Trovatore (gennaio 1853) è la seconda opera della trilogia popolare, andata in scena al Teatro Municipale, nella produzione di Ravenna Festival, in collaborazione con la Fondazione Teatri. L'idea della regista Cristina Mazzavillani è di offrire al pubblico un raffronto ravvicinato, sera dopo sera, delle soluzioni musicali inventate da Verdi, sviluppate nell'affrontare racconti tanto diversi, a cominciare da Rigoletto (marzo 1851), per finire con La Traviata (marzo 1853), dramma borghese contemporaneo (quando l'opera fu presentata suscitò indignazione, così che alla riproposta si pensò bene di ambientare la vicenda nel settecento). In verità, il compositore aveva ben chiaro quanto i moti dell'animo umano, pur cambiando le stagioni, siano gli stessi, amore e odio, fondamentalmente, con le mille sfumature che si possono dare.
Qui, buttare nel fuoco un bambino o rendere incandescenti i metalli per farne armi fatali, come per gioco di magia, per questi uomini d'un tempo remoto, pare sia la stessa cosa. La storia è quanto di più intricato si possa immaginare, nello scontro della nobiltà spagnola del XV secolo con il mondo diverso del popolo zingaro che respinge e attrae al tempo stesso, fedele ai suoi riti, sprezzante delle regole altrui. E quando Leonora, amante del Trovatore Manrico, pur di salvarlo, si promette al rivale Conte di Luna, firma la sua condanna a morte e non le resta che il veleno. Il Conte di Luna, furioso d'aver perso l'agognata Leonora, si vendica condannando a morte il Trovatore.
Opera discontinua, si dice, ma con momenti di grande effetto. Il maestro Nicola Paszkowski, alla guida dell'Orchestra Giovanile "Cherubini", ha guidato i suoi con meticolosità a esprimere con il suono i sentimenti, le emozioni. Ama i colori forti e la partitura gli offre occasione di esprimere gli accesi contrasti drammatici (persino in conflitto con le voci). Il Coro del Teatro Municipale, rigorosamente in nero, diretto dal maestro Corrado Casati, pur confinato sul fondo, oltre i velari, si impone autorevole e puntuale.
Luca Dell'Amico, Ferrando, narra l'antefatto con accento sicuro. Anna Kasyan è una Leonora sensibile che rivela l'amore che le sarà fatale. Thea Demurshvili è Azucena drammaticamente convincente nella racconto dell'atroce scambio, e ancora nel duetto rivelatore con Manrico. Luciano Ganci è un Manrico all'altezza della situazione, voce giovanile, appassionata, precisa, che sa ben gestire l'attesa aria della Pira, senza correre troppi rischi. Sottotono il baritono Alessandro Luongo che non rende al suo Conte di Luna il giusto spessore drammatico.
La regista Mazzavillani, con lo scenografo Italo Grassi, le luci di Vincent Longuemare, i costumi di Alessandro Lai, ha ambientato la vicenda, con le immagini proiettate, dentro quello che resta di un'industria morta, con un senso subito d'angoscia (si finisce poi tra le strutture d'una moderna raffineria e addirittura un accenno di campo di concentramento con tanto di forca pronta). Il pubblico non ha mancato l'appuntamento con diversi arrivi da fuori città, con molti applausi ai protagonisti in scena. Qualche dissenso è stato espresso per il troppo su e giù dei velari e l'invadenza delle immagini proiettate e non sempre coerenti, così da rendere i personaggi come le statuine nel presepe.
p. s. E' accertato che il canto è a voce naturale, solo in particolari momenti è aggiunto un effetto eco che ne rafforza la suggestione.

Gian Carlo Andreoli

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