Fondazione di Piacenza e Vigevano Stampa
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Venerdì 1 Marzo 2013 - Libertà

Cosa non ha funzionato nella "governance" della Fondazione
Si riuscirà a ridurre i danni grazie all'ingresso di Intesa San Paolo come socio di maggioranza

IL CONFRONTO

di MINO POLITI*
Lo scambio di opinioni fra Marco Arcelli Fontana e il presidente Giacomo Marazzi ci permette di affrontare un tema, quello della Fondazione di Piacenza e Vigevano, di vitale importanza per la comunità piacentina.
Il dibattito verte sulla validità di un investimento di rilevanti dimensioni (72 milioni di Euro, pari al 18% del patrimonio netto della nostra Fondazione), perfezionato nell'ottobre del 2008, nella Banca del Monte di Parma. Banca che ha in seguito avuto forti perdite.
Nella risposta di Marazzi ad Arcelli Fontana, la decisione è motivata dalla volontà di "investire in un'attività che potesse mantenere il suo valore nel tempo.... ciò anche al fine di contrastare eventuali effetti inflattivi".
Questo obiettivo strategico - aldilà del dibattito mai abbastanza approfondito e risolutivo su come le Fondazioni bancarie debbano investire il proprio patrimonio - ha una sua forte legittimità, ancor più nel caso specifico della nostra Fondazione. E oltre vedremo meglio perché.
Non vi è dubbio tuttavia che sia fuorviante invocare la crisi finanziaria iniziata negli USA nel 2007, da parte del presidente Marazzi, per spiegare l'esito problematico dell'investimento, anche se comprensibile sul piano della politica di comunicazione a difesa della reputazione di una istituzione tanto prestigiosa. Tutto il sistema bancario italiano ha infatti risentito della crisi, ma in pochissimi casi si sono verificati tracolli come quelli della Banca del Monte di Parma.
Legittimo l'obiettivo, dicevamo, ma legittima anche l'opinione che l'investimento fosse imprudente e sbagliato, per almeno tre ragioni: 1. Banca del Monte faceva da anni profitti troppo risicati rispetto agli standard assai superiori del sistema bancario italiano, 2. gli amministratori dell'epoca non brillavano per reputazione (le ispezioni successive della Banca d'Italia ne hanno certificato i comportamenti scorretti, al tempo stesso riconoscendo come corretti quelli di nomina della nostra Fondazione; la "due diligence" della Deloitte, evidentemente, non era entrata nel merito della valutazione del fattore umano), 3. con una partecipazione di minoranza in una società non quotata in borsa, sarebbe stato difficile vendere, qualora fosse stato necessario o conveniente.
Ne è risultato un danno complessivo per la nostra Fondazione valutabile in alcune decine di milioni di Euro, fra minore valore attuale della partecipazione, nuovo versamento da effettuare al momento del previsto aumento di capitale, per conservare una presenza significativa nella compagine societaria, e mancati dividendi percepiti nel frattempo.
Nella migliore delle ipotesi, col passare del tempo, si riuscirà a ridurre i danni, grazie all'ingresso di Intesa San Paolo come socio di maggioranza, garanzia di buona amministrazione e possibile sviluppo futuro di Banca del Monte.
A questo punto resta sul tappeto il problema più importante della nostra Fondazione, quello che ha portato il Presidente Marazzi ad effettuare l'investimento nella Banca del Monte: la necessità di mantenere il valore del patrimonio nel tempo, al netto dell'inflazione. Tradotto in parole povere: se il valore del patrimonio non cresce almeno in linea con l'inflazione, significa che si sta lentamente consumando.
Ed è ciò che è avvenuto dal 2000 al 2011: il patrimonio netto della Fondazione di Piacenza e Vigevano è infatti cresciuto dai 368 milioni di Euro iniziali a 392 milioni. Ma nello stesso periodo i prezzi sono aumentati del 24% circa e il patrimonio netto, scontata l'inflazione, si è pertanto ridotto del 15% (la perdita di valore risulterebbe maggiore se si riportassero in bilancio i valori attuali di alcune poste dell'attivo, come la partecipazione nella Banca del Monte di Parma, di cui abbiamo parlato sopra).
Nello stesso periodo, la Fondazione Cariparma ha registrato un incremento del patrimonio da 480 milioni di Euro a 984 milioni, che equivale a una crescita del 65% al netto dell'inflazione. Ciò in virtù della scelta di investire grande parte delle sue disponibilità finanziarie in quote di società, bancarie e non, che si sono rivelate sempre remunerative e hanno accresciuto il loro valore reale nel tempo (l'insieme delle Fondazioni italiane ha visto crescere il patrimonio del 15% al netto dell'inflazione, sempre dal 2000 al 2010).
E in conseguenza delle diverse tendenze dei rispettivi patrimoni netti, mentre la Fondazione di Parma ha aumentato le erogazioni alla comunità locale dai 12 milioni di Euro nel 2000 ai 22 nel 2010 (con punte superiori ai 40 milioni in anni di maggiori dividendi delle partecipate), Piacenza invece le ha aumentate solamente da 5,2 milioni a 6,9. Ed è evidente che Piacenza non si sarebbe potuta permettere nemmeno questi scarsi aumenti delle erogazioni se avesse voluto conservare il valore del suo patrimonio.
In conclusione, di fronte a queste problematiche, non sarebbe il caso che le istituzioni locali aprissero un dibattito serio sulla Fondazione, basato su un'analisi razionale dei fatti e con una visione almeno nazionale del problema? Sarebbe soprattutto responsabile ed urgente affrontate almeno due questioni:
- formulare obiettivi strategici e regole di condotta allo scopo di orientare investimenti e politiche di bilancio in linea con l'obiettivo del mantenimento del valore del patrimonio nel tempo
- definire criteri di selezione degli amministratori che garantiscano un presidio più consapevole e rigoroso di detti obiettivi.
Gli attuali amministratori sono certamente persone dotate di professionalità e degne di fiducia. Ma è evidente che l'alchimia con cui è stata costruita la "governance" della Fondazione non ha funzionato al meglio.
Vogliamo porvi rimedio, per il bene di Piacenza? Magari si riesce ad invertire la rotta.
*Ex assessore allo sviluppo economico
del Comune di Piacenza

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