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Mercoledì 27 Febbraio 2013 - Libertà

«Per capire l'Italia di oggi tornare al 1862»

«Riflettere sui problemi di quei primi anni dell'Unità e sulle scelte fatte da Cavour»

di LUCIO BERTI
Stasera a Piacenza, in Fondazione, verrà presentato l'ultimo libro di Riccardo Ruggeri "Parole in libertà". Abbiamo sentito l'imprenditore-scrittore su questo suo ritorno a Piacenza.
Anche quest'anno siamo lieti di ospitare Riccardo Ruggeri a Piacenza per una serata di riflessioni sul momento che stiamo vivendo. Sappiamo il grande legame che lo unisce alla città e ai piacentini, apprezziamo che nel giro di presentazioni dei suoi libri Piacenza sia sempre la prima tappa, lo ringraziamo. Suggestivo il tema che verrà analizzato. Ce ne vuole parlare?
«Considero talmente problematico questo periodo che ho voluto tornare indietro di 150 anni, capire cosa era successo nel 1862, riflettere sui problemi di quei primi anni dell'Unità d'Italia, e se ciò ci poteva aiutare a meglio capire cosa sta succedendo oggi. Un paio d'anni fa, grazie all'amico Alberto Mingardi, direttore dell'Istituto Bruno Leoni, ebbi la possibilità di conoscere Vito Tanzi, professore di economia e finanza pubblica in varie università americane, ove risiede da quando era ragazzo, già direttore del "Fiscal Affairs Departement" del Fondo Monetario Internazionale, autore di una ventina di libri, di centinaia e centinaia di articoli su prestigiose riviste di economia. Seppi che si era appassionato a conoscere cosa era successo nei primi anni dell'Unità, aveva acquistato (e studiato) moltissimi libri, specie francesi e inglesi, che trattavano quel periodo, quando fu soddisfatto del suo lavoro di analisi e approfondimento, si mise a scrivere. Solo la bibliografia consta di 40 pagine! Fui felice quando Vito accettò che io fossi il suo editore italiano e orgoglioso del titolo ITALICA (costi e conseguenze dell'unificazione d'Italia) dovuto a Franco Lima che preparò anche una straordinaria copertina (da un bronzo dorato del grande scultore Luciano Fabro) ».
Quali le sue considerazioni?
«Mi hanno colpito alcuni "numeri". Premesso che nel 1862 solo il 2% degli italiani uniti parlava l'italiano, in quel primo anno di bilancio consolidato del Regno le entrate ordinarie coprivano solo il 52% della spesa pubblica. E su 100 lire di spese statali 22,4 servivano per gli interessi sul debito, 15,3 per riscuotere le imposte. Numeri da brivido. Se noi nel 2011 eravamo sull'orlo del baratro, gli italiani di allora erano al fondo del baratro».
Con chi si indebitava il Regno di Sardegna?
«Prima del 1860 Cavour, per seguire i suoi sogni di grandezza, aumentò le tasse e contrasse enormi debiti con Rothschild, che era allora il banchiere europeo per eccellenza che regolava il traffico finanziario dell'Europa (una specie di BCE privata), a condizioni via via più onerose (una specie di spread ante litteram), fino a quando decise di sganciarsi ("questo ebreo ci sta strangolando", Amedee Bert, pag 408). Riuscì a negoziare un nuovo prestito a migliori tassi, questa volta con la Hambro di Londra. Comunque, il fallimento del Regno di Sardegna si avvicinava ogni giorno di più, fino a quando, nel 1859 Cavour se ne convinse. Capì che era spacciato, scelse l'unica opzione rimasta sul tavolo, che un suo fedele sintetizzò in un articolo da lui ispirato: "O la guerra o la bancarotta". E guerra fu. L'unificazione, l'assorbimento delle pingue casse dei Borboni (molto migliori di come li descrissero i media di allora, tutti embedded ai piemontesi), permise di trasferire il debito del Regno di Sardegna al Regno d'Italia. Questo fu possibile perché fu scelta la forma di stato unitario, sarebbe stato molto difficile nel caso di un sistema federale, tecnicamente impossibile se si fosse scelto il modello confederale. E così l'Italia divenne uno stato centralizzato anziché seguire la sua natura confederale, come era stato per la Svizzera e gli Stati Uniti. E le conseguenze di questa scelta si sarebbero visti cento anni dopo».
Torniamo ai tempi nostri, ci parli del 2012 e del 2013.
«Il mio libro, "Parole in libertà", ha raccontato il 2012 attraverso dei camei, cinque alla settimana, che cercavano di cogliere i principali aspetti politici, economici, di costume di quello che succedeva, diciamo non lo stesso giorno ma il giorno dopo, per avere il tempo di fare un minimo di riflessioni. E' la visione del mondo di un vecchio signore che ne ha viste di tutti i colori, un uomo comune, libero, indipendente, curioso, scanzonato, che osserva preoccupato, non per lui ma per i suoi nipoti, la caduta di una certa cultura occidentale. Si rammarica spesso che nei posti di comando dell'Occidente vi siano troppi inetti, tutto charme e comunicazione, tanta intelligenza e poche competenze, un'arida umanità, governati da un protocollo feroce: il successore è sempre peggio del predecessore. Questi camei parlano molto di politica ma non sono politici, non scivolano mai nella trappola dell'etica, si rammaricano della caduta dell'estetica, esprimono con leggerezza giudizi aspri, feroci sulle attuali élite».
Per il 2013 c'è una parola che vorrebbe che assumesse un altro significato rispetto a quello attuale?
«Sì "fiducia". Lo Stato non si fida dei cittadini, pretende tasse folli sostenendo che ci sono evasori, e ci sono, ma lui non li trova, poi lui non paga i debiti e mantiene personale inutile, lo sa che non servono ma non li mette neppure in cassa integrazione, mentre gli operai delle aziende private ci devono andare. Le banche non si fidano fra loro, i politici non dei banchieri, i cittadini non di entrambi, e così via in infiniti incroci reciprochi. Mi chiedo perché i nostri giovani dovrebbero fidarsi di tutti costoro? Se non ricuperiamo la fiducia non ce la faremo mai. Chi deve cominciare? Senza dubbio lo Stato, questa sarà la vera priorità del nuovo Governo».

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