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Giovedì 7 Marzo 2013 - Libertà

Il concerto del cantante jazz e dei due giovani vocalist all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano si è rivelato un'esperienza esaltante

di PAOLO SCHIAVI
Dopo due vocalist femminili d'eccezione era proprio giunta l'ora di un maschietto. A ereditare il ruolo di "apripista" al Piacenza Jazz Fest, toccato l'anno scorso a Danila Satragno e due anni fa a Rossana Casale, è stato stavolta Gegè Telesforo. Una voce da incorniciare. Un "mood" irresistibile. Che il poliedrico Telesforo sia un gran personaggio e in assoluto uno dei migliori cantanti jazz a livello internazionale è cosa nota da molte stagioni. Ma non era scontato che per questo suo nuovissimo progetto (e album) Nu Joy il re dello "scat" e del "vocalese" si fosse circondato di un parterre di musicisti di tal valore: un gruppo dall'energia travolgente che ha contribuito a rendere un'esperienza esaltante il concerto di martedì sera all'auditorium di via Sant'Eufemia, offerto alla città dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano come antipasto al Jazz Fest. Un altro evento trasversale e di elevata caratura per avvicinare all'universo jazz anche i meno avvezzi al genere.
Anche stavolta - e con questa fanno dieci - la macchina organizzativa del Piacenza Jazz Club è partita in grande stile. Secondo una ritualità gioiosa e ormai irrinunciabile il presidente del Club Gianni Azzali ha salutato l'auditorium gremito snocciolando le parti essenziali del ricchissimo programma di eventi e concerti della manifestazione, consultabile sul sito www. piacenzajazzfest. it. Poi, giusto il tempo di introdurre Telesforo e al pubblico non è restato che abbandonarsi alla carica del sestetto Nu Joy.
Eccolo, GeGè, tra i più raffinati al mondo a cantare il jazz e ad utilizzare la sua voce vitrea e rotonda come un vero strumento musicale, pescando il ritmo e le note con le mani a mezz'aria in pose plastiche specchiate in virtuosismi mai eccessivi. Anzi, avrebbe potuto osare di più, magari lanciandosi in qualche spericolato "beat-box", invece ha dosato oculatamente i suoi assoli. L'aria spigliata, pulita e maliziosa, il sorriso smagliante, l'occhio vispo, le movenze fluide e il l'irresistibile "savoir faire" dell'intrattenitore navigato hanno lasciato volentieri ampi spazi ai compagni di avventura.
Attorno a lui, le facce belle e fresche di due giovani vocalist - i suoi pupilli - di natali romani che come lui si dividono tra l'Italia e l'America: la bravissima e accattivante Greta Panettieri e il risoluto e soave Arnaldo L. A. Santoro, classe '91, uscito da Amici e dotato di una vocalità che, non a torto, molti accostano a quella del mitico Michael Jackson. Eccellente il trio di musicisti a supporto dello stupefacente trittico di voci, vicendevolmente animati da un interplay sfavillante: il talentuoso, versatile ventisettenne latinense Domenico Sanna, magnificamente diviso tra Hammond e pianoforte, e i più maturi "Fratello" Joseph Bassi al contrabbasso, barese classe '71, e Roberto Pistolesi alla batteria, annata '78, da Frosinone, traboccanti di groove, potenza e inventiva ritmica.
Esecuzioni fin troppo perfette, se proprio si vuol rimproverare qualcosa ai Nu Joy: un sound ineccepibile in bilico tra soul, jazz, acid, funk e r&b, premiato dai battimani di un pubblico rapito che non ha risparmiato meritatissime ovazioni. Gegè e soci oscillano con dinamismo mozzafiato, fine eleganza e traboccante intensità tra climax e stop'n'go incalzanti, atmosfere soavi e rarefatte dai picchi toccanti (Available for wedding e A new joy) e pieni focosi e torrenziali (Sing a song of song di Kenny Garret), ritmi latineggianti, in cui Gegè si lancia in scat "africaneggianti", e incroci fatali, come quello con il reggae jamaicano di Bob Marley (nella sorprendente versione di No woman no cry) o con i colori del gospel e del pop (nel singolo "sfondaclassifiche" Last goodbye). Qua e là, succosi accenni blues, come nella funkeggiante Go on e nella felina, lasciva So cool, scritta da Telesforo a quattro mani con l'amico Ben Sidran e comprensiva di un'ammiccante citazione di Sex Machine, James Brown. A chiudere, una girandola vertiginosa di assoli e improvvisazioni che sembrava dovesse far esplodere l'auditorium. Il conto alla rovescia è iniziato: lunga vita al Jazz Fest!

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