Sabato 12 Gennaio 2013 - Libertà
Anni Ottanta, una pesante eredità
In Fondazione l'incontro con il saggista introdotto da Eugenio Gazzola e Gianni D'Amo. Lo storico Crainz ha presentato il suo libro "Il Paese reale"
piacenza - «Cosa resterà di questi anni Ottanta? » si chiedeva Raf ormai qualche decennio fa. La risposta arriva dritta dritta da Guido Crainz, storico e docente dell'università di Teramo che l'altro pomeriggio all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano ha presentato Il Paese reale. Dall'omicidio di Moro all'Italia di oggi (Donzelli Editore) insieme a Gianni D'Amo ed Eugenio Gazzola: di quel decennio, definito dallo studioso «disastroso per il Paese non solo per i politici ma per l'Italia tutta», sono rimasti una colpevole tendenza all'autoassoluzione e una tendenza allo spreco irresponsabile motivata da una corruttela del ceto politico e della società tutta ancora oggi ben presenti.
«Io sono partito dall'idea del decennio Ottanta come incubazione del nostro presente» ha spiegato Crainz, «per capire l'oggi dobbiamo infatti comprendere gli anni Ottanta: le immagini del funerale di Aldo Moro testimoniano la fine della repubblica e di un'epoca tutta e lì finisce qualcosa che deve essere inteso come modo di essere».
Ben lo ha chiarito anche D'Amo nell'evidenziare come «uno dei problemi dell'Italia sia quello di non aver fatto i conti con il suo passato».
«Io ho una sorta di allergia per chi dice che siamo sempre stati così perché è una posizione autogiustificazionista» gli ha fatto eco Crainz, «in realtà l'Italia è stato un Paese in cui la partecipazione al voto è stata enorme: dalle elezioni nazionali del 1948 particolarmente sentite in tutto il Paese ci abbiamo messo trentadue anni per scendere sotto il 90 per cento dell'elettorato incassato dalle elezioni regionali del 1980. Di chi è la colpa? ».
Il quesito non è retorico e la risposta può far male: la colpa vera, lo chiarisce senza remore lo storico, è di un Paese convinto «di avere un ceto politico corrotto ma una società sana anche se poi non è stato proprio così. Nei primi anni Novanta la discussione sulla crisi dell'Italia era molto radicata e mi aveva colpito: allora la colpa era tutta di Craxi, così si credeva in una sorta di autoassoluzione collettiva».
Eppure la cartina al tornasole che il problema non fosse semplicemente circoscritto alla politica è rappresentato dalla crescita a dismisura del debito pubblico che inizia proprio nel decennio Ottanta: «La mia tesi è quella di un Paese che accetta consapevolmente di sprecare ben sapendo che gli effetti li pagheranno le generazioni successive» ha continuato lo storico, «e questo approccio deriva da un mutamento etico drastico causato da una corruttela del ceto politico ma anche dell'intera società. Per questo motivo gli anni Ottanta sono un decennio disastroso: non solo per la politica, ma per il Paese tutto».
«Sono gli anni della "vita facile" o meglio è il momento in cui nasce quell'idea» ha spiegato Gazzola, che non a caso ha parlato, sulla scia di quanto diceva Edmondo Berselli, di un'indolenza disonesta di un Paese che ha smesso di indignarsi e poi anche di vergognarsi.
È un decennio che, Crainz ribadisce, si "allunga" idealmente fino all'inizio degli anni Novanta, all'ascesa di Berlusconi: «Il fatto è che non c'è un prima e un dopo, ma semmai uno scontro fra modi diversi» ha spiegato lo studioso, «basti pensare al fenomeno del "rampantismo" coniato negli anni Ottanta ma già presente vent'anni prima seppure contrastato da una sorta di anticorpi collettivi come la solidarietà sociale che sembrano bruciati negli anni Settanta».
Ecco allora il "decennio mancato", quello della «maturità che non sapemmo avere» coniata da Giuliano Amato e richiamata da Crainz e D'Amo e che forse non avremo mai se non faremo i conti con la storia. Crainz lo ha fatto.
Betty Paraboschi