Mercoledì 5 Maggio 2004 - Libertà
"La pace, un valore centrale"
Testimoni del tempo - Il fondatore della Comunità monastica di Bose domani sera in Fondazione. Intervista sull'identità dei cristiani e i rapporti tra l'Occidente e il mondo arabo. Padre Bianchi: la guerra non regola i conflitti
Padre Enzo Bianchi, fondatore e priore della Comunità monastica di Bose, sarà il prossimo ospite, domani sera alle 21 presso l'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano(via S. Eufemia 12), di Testimoni del Tempo, nell'incontro dal titolo "Quale futuro per il Cristianesimo?".
Direttore della rivista biblica "Parola, Spirito e Vita", membro della redazione della rivista internazionale "Concilium, collaboratore de La Stampa, Avvenire e "Luoghi dell'infinito", padre Enzo Bianchi è autore di numerosi testi sulla spiritualità cristiana e sulla grande tradizione della Chiesa, tra cui, per citare solo i più recenti, "I Cristiani nella società", "Le ragioni cristiane dell'ecologia", "Nuove apocalissi. La guerra in Iraq, l'Islam, l'Europa, la barbarie" e "Lessico della vita interiore. Le parole della spiritualità".
In attesa dell'incontro di domani, abbiamo rivolto al religioso alcune domande.
A partire dall'11 settembre 2001, l'umanità sembra essere caduta sotto il dominio della morte, colpita da guerre, attacchi terroristici, scontri e stragi. Il problema, secondo lei, è quello di uno scontro di civiltà o quello di una crisi dei valori fondamentali dell'uomo?
"Io credo che lo scontro non sia quello tra il mondo islamico e l'Occidente, ma quello che si è creato tra alcuni paesi e la potenza globale del mondo. Non c'è quindi assolutamente la possibilità di leggere uno scontro tra Islam e Cristianesimo, ma neanche tra Occidente e mondo arabo: grazie soprattutto anche agli interventi di Giovanni Paolo II non è stato possibile vedere i cristiani schierati all'interno di queste guerre, sia in Afghanistan sia in Iraq, e questo va visto come una realtà feconda, che impedisce che i conflitti divengano conflitti di religione".
Di fronte a queste nuove apocalissi, che spazio c'è per il magistero di pace del Cristianesimo?
"Io credo che esso andrebbe potenziato e che dovrebbe essere più evidente e più efficace. Qualche volta si ha l'impressione che questo magistero sia più nei vertici della Chiesa (penso al Papa di Roma, ma penso anche al primate anglicano di Canterbury), che non invece all'interno delle comunità cristiane. Qui c'è davvero un grosso lavoro da fare per sensibilizzare la pace tra gli uomini come valore centrale all'interno del Vangelo e non come valore periferico. Non tutti sono ancora sufficientemente convinti della centralità di questo valore: esistono ancora logiche di inimicizia politiche ed economiche che nutrono in qualcuno il concetto di utilità della guerra e non mettono al bando la guerra come strumento di regolamento dei conflitti tra le genti".
Il massiccio fenomeno dell'immigrazione in Italia e in Europa ci sta mettendo a confronto con tradizioni e valori quasi mai coincidenti con quelli cristiani. Si prospetta una fine del Cristianesimo in Europa?
"Io credo di no. Credo che se i cristiani sono convinti della loro identità potranno anzi essere quelli che si impegneranno in un dialogo con queste nuove forme di religione e di cultura, che arrivano soprattutto dall'Oriente o dal mondo arabo. E credo che in questo confronto i cristiani finiranno per essere ancora più convinti di quella che è la verità del Cristianesimo. Non c'è da temere, l'importante è che ci sia seriamente un'identità cristiana, una fede pensata, una maturità della vita spirituale cristiana".
Secondo lei il nostro Paese come sta affrontando il fenomeno dell'immigrazione?
"Mi sembra che non lo stia affrontando con sufficiente intelligenza e con sufficiente senso di quella che è la comunione fra tutti gli uomini, perché se da un lato non bisogna essere imprudenti o ingenui, per cui l'immigrazione deve essere un'immigrazione accolta e noi dobbiamo verificare se abbiamo delle vere capacità di accoglienza, dall'altro lato, però, a volte mi sembra che ci siano delle tentazioni di rifiuto dell'alterità, di negazione di chi è diverso, e questo è semplicemente una barbarie".
CATERINA CARAVAGGI