Lunedì 28 Gennaio 2013 - Libertà
Il lager visto con gli occhi di un bambino
Lo scrittore Orlev: «In quelle baracche mi sembrava un campeggio ... poi la verità»
Piacenza - Ha visto il mondo pieno di speranze di "prima della guerra" e ha respirato gli orrori e lo sbigottimento del ghetto di Varsavia e del campo di Bergen-Belsen. Eppure Uri Orlev, ex bambino straziato dalla crudele e perfetta «macchina della morte» messa a punto dai nazisti nei campi di concentramento e di sterminio e ora scrittore israeliano fra i più prolifici e più letti, crede ancora che «ci sia un futuro per l'umanità». Il "merito" di questa fede laica e profondamente intrisa di umanità sta tutto in una «curiosità di vivere che è il miglior rimedio alla natura e che anima l'infanzia ma può essere conservata anche nell'età adulta» e in una «buona educazione»: al centro c'è sempre una figura materna perduta e amata, evocata dopo la morte per mano dei nazisti e lungamente vissuta in quel periodo di effimera serenità vissuto nel ghetto polacco.
«È un paradosso in effetti, ma il periodo trascorso nel ghetto di Varsavia nei due anni precedenti lo sterminio è stato quello più bello perché c'era solo la mamma con me e mio fratello e potevamo vederla tutto il giorno» ha spiegato Orlev ieri mattina davanti a una foltissima e attenta platea accorsa all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano per l'incontro organizzato in occasione della Giornata della Memoria (al quale hanno partecipato anche il sindaco Paolo Dosi, il presidente della Provincia Massimo Trespidi e quello del consiglio provinciale Roberto Pasquali e la traduttrice Sara Ferrari). «Nel ghetto rimanemmo per anni. Nel 1943 invece ricordo quel viaggio fatto di notte sui treni: apparentemente un viaggio normale, i tedeschi che aiutavano a scaricare i bagagli, le donne che venivano sistemate sui camion. Alla mattina ci svegliammo ed eravamo nelle baracche: sembrava di essere in una specie di campeggio e fu così per due mesi e mezzo. Solo dopo quel campo, fatto apposta per le famiglie, si trasformò nella vera Bergen Belsen: delle tremila persone presenti su quel treno ne rimasero trecento. Le altre non furono uccise lì: vennero mandate ad Auschwitz».
Di anni da allora ne sono passati parecchi e anche di storie: quel bambino di tredici anni con il vuoto e il ricordo della mamma nel cuore è diventato l'Uri Orlev scrittore di fama, autore di una trentina di libri tradotti in trentotto lingue. Ma ciò che è rimasto intatto è la curiosità della vita: è grazie a quella che l'ex bambino sa raccontare l'olocausto di un popolo con verità e senza retorica.
«Io posso scrivere, raccontare e pensare a questa esperienza solo dal punto di vista di un bambino» ha dichiarato lo scrittore, «più in là non posso spingermi: non è una decisione, ma una scelta data dal terrore di pensare a questa esperienza come un adulto. I bambini ricordano diversamente dai grandi, si concentrano sui giochi e sulle cose che li hanno fatti sorridere e ridere in quel momento».
Così è anche per Orlev e proprio per questo motivo i suoi libri e i suoi racconti, testimoniati anche ieri mattina, hanno la verità e l'onestà dell'infanzia: «Si può essere e diventare testimoni e ricordare dunque qualcosa che non si è vissuto in prima persona solo leggendo dei libri o guardando dei video che toccano il cuore e si imprimono nella mente» ha dichiarato lo scrittore. Le sue storie sono proprio così: nutrimento per il cuore e per la memoria.
parab.