Giovedì 31 Gennaio 2013 - Libertà
«Il teatro si accompagna ai valori umani»
Arcuri ha concluso lo stage per gli attori della Società Filodrammatica Piacentina
PIACENZA - Nella Sala delle Muse si è appena concluso lo stage di perfezionamento per attori della Società Filodrammatica Piacentina condotto da Fabrizio Arcuri, regista dell'Accademia degli Artefatti di Roma, direttore del Festival Prospettive di Torino e direttore artistico del Teatro della Tosse di Genova. Il corso, L'attore profiler: indagini al di sopra di ogni sospetto, sostenuto dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano, è stata una full immersion di quattro giorni nei testi di autori molto diversi tra loro, dall'antica Grecia al contemporaneo. Un momento formativo importante - aspetto a cui la Filo è storicamente attenta - di cui abbiamo parlato direttamente con Arcuri.
Innanzitutto, che importanza hanno i sodalizi teatrali semi-professionali come la Filo?
«Hanno un ruolo fondamentale, prima di tutto civico: ancor prima di formare spettatori preparati e potenziali attori, formano persone, cittadini. Insegnare teatro significa trasmettere valori umanistici che fanno parte dell'educazione alla vita».
Lo stage aveva un titolo intrigante.
«In realtà il senso è semplice, ci siamo dedicati alla base, alla "matematica dell'attore": lo scopo era costruire un percorso logico per interpretare i testi in maniera esatta e contingente. I testi teatrali sono parole che devono sviluppare azioni, coacervi di informazioni utili a far capire all'attore come costruire azioni che giustifichino quelle parole».
Dietro alle didascalie in effetti si nasconde un mondo.
«Ci siamo concentrati soprattutto sulla comprensione del percorso di un personaggio o di una relazione all'interno del testo. Un primo aspetto problematico è la triplicità di chi sta in scena: è al contempo persona, attore e infine personaggio. Inoltre davanti a un testo bisogna subito riflettere su quale realtà mette in gioco, a quale verità bisogna credere per portarlo in scena. Per questo abbiamo affrontato esperienze molto distanti: se l'Amleto di Shakespeare richiede all'attore di accettare determinate caratteristiche e nascondersi un po', il personaggio beckettiano non esiste e la persona supplisce alla sua impossibilità. Abbiamo accostato autori come ad esempio Shakespeare e Ibsen perché riformatori della scrittura teatrale e del senso del teatro nella società: se Shakespeare per arrivare al suo scopo comunicativo aveva bisogno di recitare addosso alle persone, Ibsen necessitava della "quarta parete" perché lo spettatore potesse "spiare" l'interno borghese "dal buco della serratura"».
Fino al 13 febbraio, al Teatro della Tosse, è in cartellone la sua regia di «Io, Banquo», tragicommedia del drammaturgo britannico Tim Crouch, cosiddetto "dannato della performance art", che racconta il «Macbeth» scespiriano da un punto di vista insolito.
«Crouch strappa il testo dalla sua dimensione tragica per ridurlo a movimenti interiori vicini a tutti. Macbeth è la storia di due amici: uno dei due davanti alla possibilità semplice ma illecita di guadagnare rapidamente potere agisce per ottenerlo, uccidendolo. Crouch riscrive il testo giocando al "facciamo finta che". In scena Enrico Campanati è il fantasma di Banquo e giostra uno stretto rapporto col pubblico chiamato in causa a fare Macbeth in un gioco delle parti che è una grande sfida per l'attore, che ogni sera, in base al pubblico, deve inventarsi un modo diverso per gestire questa specie di virus interno allo spettacolo. Entro l'anno terminerò e porterò in scena in diverse città la pentalogia di Crouch con le sue restanti riscritture scespiriane: Io Cinna da Giulio Cesare, Io, Fior di pisello dal Sogno, Io, Calibano da La tempesta e Io, Malvolio da La dodicesima notte».
Paolo Schiavi