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Sabato 3 Novembre 2012 - Libertà

l'altra scena Bilancio positivo per il Festival organizzato da Maj ed esperimento riuscito per l'immobile di via Santa Franca alla prova del pubblico



Una visione dello spazio del Palazzo ex Enel e i due spettacoli ospitati nell´ambito di «L´altra ...
PIACENZA - Da un malchiuso portone il Montale vedeva il giallo dei limoni. Noi, da un portone del centro città che si è riaperto nelle ultime settimane dopo essere rimasto chiuso trent'anni, vediamo invece uno scorcio dal sapore berlinese. Newyorkese, ha detto qualcuno, stropicciandosi gli occhi di fronte al grande spazio - al fascino delle colonnine che lo solcano e dei mattoni scalcinati a vista - del salone del Palazzo "Ex Enel" di via Santa Franca. Che, dall'inizio di ottobre, ha aperto in corrispondenza di ogni spettacolo del Festival di teatro contemporaneo L'altra scena, organizzato da Teatro Gioco Vita come "antipasto" alla regolare Stagione di Prosa.
Una rassegna che punta a "sprovincializzare", stupire e stuzzicare con proposte di ricerca, ma anche a cullare il pubblico con un'offerta che vada oltre alla semplice levata e calata di sipario. Diego Maj, direttore di Tgv, e il figlio Jacopo, responsabile de L'altra scena, hanno voluto coinvolgere gli spettatori in un'esperienza di fruizione allargata alla dimensione umana e sociale.
L'"Ex Enel" sta ospitando il "dopo-teatro" cosiddetto Sete di scena, con il servizio bar curato dall'Irish Pub, scelto come "partner" in virtù della vicinanza e del ruolo che (prima che scattasse per i gestori il ben noto coprifuoco delle 21) ha storicamente ricoperto per pubblico e compagnie al termine degli spettacoli al "Filo". Approfittando dell'occasione e del seducente allestimento "vintage" curato da Augusta Grecchi e dal macchinista Davide Giacobbi con la collaborazione di Elena Meli e di Santantoninotrentaquattro Vintage, Irish ha raccolto un collettivo di musicisti per approntare una parallela rassegna di accompagnamento, Altri suoni: questione che approfondiamo a parte.
Più di una volta, poi, il salone ha ospitato gli spettacoli stessi del Festival (è successo per È così che tutto comincia e Abram e Isac), rivelandosi in tutto il suo potenziale: quello di uno spazio scenico suggestivo e apprezzato dagli spettatori.
Il palazzo ad inizio secolo era una fabbrica. Fu poi occupato dall'Enel e dai suoi uffici e dunque rilevato dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano (attuale proprietaria), al cui virtuoso mecenatismo (l'ente co-finanzia le stagioni teatrali piacentine e una miriade di iniziative culturali importanti disseminate in tutta la provincia) si deve anche la temporanea concessione dello spazio a Teatro Gioco Vita.
Il notevole afflusso di pubblico registrato da L'altra scena e da Sete di scena / Altri suoni, ha trasformato il momentaneo "riscatto" di questo luogo sconosciuto a molti in un vero "caso". Abbiamo così approfondito la questione con Jacopo Maj e con Edoardo Cassinari e Antonio Trimarchi di Irish.
«Da tempo - spiega Maj - ci chiedevamo come valorizzare questo spazio. Abbiamo pensato ad una proposta che uscisse dagli schemi dei luoghi istituzionali consolidati, sfruttandolo come luogo sia di spettacolo che di incontro, spinti dalla nostra storica vocazione alla restituzione di spazi dimenticati alla città». Anche Trimarchi parla di «uno spazio fuori canone, che va oltre le abitudini dei piacentini: ci dimentichiamo troppo spesso che quando usciamo di casa lo facciamo prima di tutto per incontrarci».
Cosa succederà dopo il 31 (Hilda, l'ultimo spettacolo della rassegna, andrà in scena mercoledì)? «Difficile prevederlo. La Fondazione - spiega Maj - ci ha gentilmente affidato lo spazio per il mese del Festival. Noi abbiamo dato un input e la città ha risposto bene. Poi, si vedrà». Gli fa eco Cassinari: «Questo spazio è al centro del polo culturale cittadino: un luogo di aggregazione da valorizzare. Infatti, il nostro intervento, non lo ha voluto trasformare in un locale, ma in uno spazio di comunicazione, scambio e stimolo culturale».
Insomma: la domanda c'è. La sete di spazi, a Piacenza, è storia antica. E l'"Ex Enel", con la sua vocazione polivalente, ha fatto strabuzzare gli occhi a molti. Ha riacceso idee ed energie sopite. Il palazzo è immenso e potrebbe ospitare una pluralità di soggetti culturali: un ipotetico uso museale potrebbe convivere e interagire sinergicamente con uno performativo. Di certo, occorre una progettualità coraggiosa, seria e visionaria. Servono investimenti considerevoli, sostenibili solo da una cordata virtuosa che unisca forze pubbliche e private. Il dado è tratto, forse. Intanto, non resta che godersi Sete di scena e Altri suoni mercoledì, per l'ultima volta. Forse.

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