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Lunedì 1 Ottobre 2012 - Libertà

Chiamarla "solidarietà" non è esatto

Chiamarla "solidarietà" non è esatto. La complessità della cooperazione travalica i vecchi orizzonti solidaristici e sostituisce lo sviluppo all'assistenzialismo: ben lo ha chiarito Fabio Melloni, già direttore dell'ufficio della cooperazione internazionale per il Libano e la Siria, che ieri pomeriggio è intervenuto sul tema della cooperazione internazionale all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano. «La cooperazione allo sviluppo è una realtà complessa che si pone l'obiettivo di fornire a un Paese tutto ciò che gli permetta una crescita sostenibile e uno sviluppo continuato e diffuso -, ha spiegato questo "professionista della solidarietà" per utilizzare una felice definizione del giornalista Pietro Veronese che ha presentato l'incontro - per farlo si deve occupare del mercato, dell'organizzazione produttiva, delle regole sul settore privato, degli incentivi e delle assicurazioni; deve rapportarsi con le istituzioni. E il rischio è che, nel caso in cui il governo non sia democratico, si rafforzi un'egemonia a scapito della libertà e dei diritti: è quanto è successo recentemente in Etiopia, dove è nato un programma di "villaggizzazione" per le popolazioni invitate a spostarsi in zone "coperte" dal governo con dei servizi adeguati. Il passo verso la deportazione è breve: noi cooperatori ci tiriamo indietro, ma comunque un sostegno indiretto resta».
In Italia invece il problema è un altro: «Mancano l'attenzione politica e la ricerca, anche se il risultato non è negativo - ha spiegato Melloni -, se avessimo anche dei legislatori attenti allo stesso modo potremmo fare della cooperazione e sviluppo una struttura di eccellenza fatta di persone che hanno le competenze dei professionisti e la passione dei volontari: il problema non sono le risorse scarse, ma l'assoluta aleatorietà di questi progetti di sviluppo che purtroppo, per la scarsa attenzione politica, non vengono garantiti negli anni».
Certo di successi la cooperazione internazionale ne ha registrati: «Per esempio in Mozambico - ha continuato Melloni -, dove c'è stata una grande storia di cooperazione e di relazione umana che si è venuta a creare e che, a distanza di vent'anni, resiste. Altrettanto, seppure con risvolti diversi, è accaduto in Libano, esempio di una politica estera in chiave bipartisan avviato sotto un governo di sinistra e continuato poi dopo, mentre i problemi a cui far fronte parlano di 400mila rifugiati somali in Etiopia e Kenya, 100mila eritrei e 180mila sudanesi in Sud Sudan. Per questo la politica italiana dovrebbe essere più sensibile».

Parab.

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