Giovedì 20 Settembre 2012 - Libertà
valtidone Festival Splendido concerto nel cortile di Palazzo Rota Pisaroni col quintetto torinese dal tocco gypsy fantasioso e funambolico
piacenza - Si scivola dentro una vita gitana. Bastano pochi gesti, un paio di sguardi, le sfumature di uno spartito frastagliato. A guidare le note i Manomanouche, quintetto torinese dal tocco gypsy. Fantasiosi, funambolici, rigorosi srotolano sensibilità esecutiva da primato. Il suono manouche innanzitutto. La tradizione musicale di uno dei ceppi più antichi del popolo zingaro, i Manouche appunto. Suono meticcio. Gentile e misterioso, coinvolgente e arioso. Il dettato musicale, basato soprattutto sulla trasmissione orale e diretta delle informazioni, ha il sapore di sale da ballo parigine e di fumosi bistrot. Montmartre e anni '30, insegne luminose tremolanti e lente passeggiate lungo le rive della Senna. Lo swing manouche incontra jazz americano, valzer Musette francese e folk tzigano. Sono scorci di primi del Novecento. Eleganza e sfrontatezza. Cioccolato e tabacco. Sedotti dalle essenze speziate di una milonga. Contaminazione e libertà. Insomma, una fortuna potersi gustare una loro esibizione.
L'opportunità è stata offerta al pubblico piacentino, accorso numerosissimo per la penultima tappa del Valtidone Festival. Nel Cortile di Palazzo Rota Pisaroni, sede della Fondazione di Piacenza e Vigevano, un concerto a tinte calde dunque. La traccia impressa nello spartito è quella del grande chitarrista Django Reinhardt. «Django... questa chitarra dalla voce umana», l'amazing gypsy invidiato dagli americani che fu costretto ad inventarsi un nuovo modo di suonare la chitarra dopo un grave incidente alla mano. Il successo fu clamoroso. Un fuoriclasse dello strumento. Diede vita al più importante progetto gipsy/jazz di tutti i tempi: l'"Hot club de France". Da lì in poi, la vita del musicista belga divenne leggenda. E, a questa storia romantica ed avventurosa si sono ispirati i Manomanouche per diffondere il loro verbo musicale. Una passione, il timbro sull'arte. Tra i migliori rappresentanti in Italia del jazz manouche, il loro marchio inizia a registrare ampi consensi anche all'estero.
Freschezza, destrezza e giocosità al servizio del talento. «Il tutto è nato da un viaggio fatto con Nunzio al festival di Samois vicino a Parigi, dove si ritrovano gli Zingari Manouches, e dalla passione per Django Reinhardt. Vedendoli muoversi sul campo, ce ne siamo innamorati e abbiamo deciso di rielaborare questa tradizione, prendendo una nostra strada». Parole di Luca Enipeo, che insieme a Nunzio Barbieri, striglia le chitarre del gruppo. Si tratta di due acustiche, imitazioni delle più note Maccaferri (le chitarre usate da Django). Sono costruite da un liutaio francese che si chiama Dupont. Una chicca. La formazione piemontese è completata da Massimo Pitzianti alla fisarmonica, Luca Velotti al clarinetto e Jino Touche al contrabbasso. Un organico di primissimo piano. Ricordiamo che Touche e Pitzianti formano l'ossatura dell'ensemble di Paolo Conte dagli anni '90. Con il cantautore astigiano hanno realizzato dischi. Lo hanno accompagnato in numerosi tour internazionali.
Il ritmo gitano soffia, intanto, sulla platea. La ritmica dreadlock di Touche incalza le chitarre che rispondono dialogando fitto. La fisarmonica sale in cattedra e occupa la linea melodica. A spalleggiarla i fraseggi muscolosi del clarinetto del maestro Velotti. I brani si rincorrono, scorrono virtuosismi e gli applausi arrivano puntuali. Salgono sulla carovana del gypsy-jazz pezzi storici di Reinhardt ma anche composizioni originali del quintetto. La lezione di Django si ascolta, tra le altre, fedele ed inappuntabile in Montagne Sainte Genevieve, nella sognante Manoir des mes reves, Rythmes gitans, Tears. In scaletta finisce anche Sine nomine composta da Nunzio Barbieri ed estratta dal disco Complicity. Un'ora di serrate rime "zingare". Poi il commiato. Pochi istanti, l'ultima nota svolazza ancora, i Manomanouche ripongono gli strumenti acustici nelle custodie. Ma il pubblico non si allontana. Inizia la processione per accaparrarsi un "brandello" di spirito nomade. Può bastare un cd. In riva al palco un ultimo segno dei Manomanouche.
Matteo Prati