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Lunedì 7 Maggio 2012 - Libertà

Brecht e un teatro che deve mostrare

In Fondazione Valeria Ottolenghi per l'ultima delle conferenze curate dalla Filo

PIACENZA - «Il teatro deve solo sviluppare ogni volta quella tecnica che consente di sottoporre le emozioni alla critica dello spettatore». Così sosteneva Bertolt Brecht. Ecco allora lo straniamento garantito da un attore che deve restare dimostratore, ossia rendere il personaggio rappresentato come una persona a lui estranea nell'ottica di un teatro che non nasconde più la sua natura. Ed ecco anche l'intervento ricco di spunti che Valeria Ottolenghi, critico teatrale della Gazzetta di Parma e di altre riviste, consigliera dell'Associazione Nazionale Critici di Teatro e saggista, ha tenuto all'Auditorium di via Sant'Eufemia a conclusione della rassegna dedicata a Stanislavskij, Mejerchol'd, Artaud, Brecht: la scena teatrale e la rivoluzione dei grandi teorici del ‘900 e organizzata dalla Società Filodrammatica Piacentina e dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano con l'obiettivo di indagare sui grandi Maestri che hanno scritto e in certi casi rivoluzionato la scena teatrale del secolo scorso.
«Brecht indica la necessità di mostrare» ha spiegato la Ottolenghi durante l'incontro coordinato dal critico teatrale Enrico Marcotti, «lo spettatore non deve subire la magìa segreta del teatro, non deve esserne affascinato. Da qui ecco la distinzione fra la forma drammatica, ossia il teatro tradizionale, e quella epica: una involge lo spettatore in un'azione scenica e suscita in lui dei sentimenti, delle emozioni; l'altra invece ne fa un osservatore e ne stimola l'attività cognitiva, lo costringe a delle decisioni, a una critica». Da una parte il sentimento dunque e dall'altra la ratio: l'uomo non risulta più immutabile e già noto ma semmai diventa esso stesso oggetto di indagine e modificatore con il suo pensiero. Del resto, lo dice chiaramente Brecht ne Il teatro moderno è il teatro epico. Note all'opera "Ascesa e rovina della città di Mahagonny" del 1931: nella forma epica è l'esistenza sociale a determinare il pensiero, segno di un sapere «che deve entrare in dialettica con la vita e farsi dunque conoscenza attiva» come ha spiegato la Ottolenghi.
All'interno di questo quadro risulta fondamentale il testo perché è il racconto, l'esposizione a stimolare l'attività cognitiva dello spettatore: «A Brecht non interessava solo la recitazione dell'attore, ma il suo atteggiamento e la posizione dell'attore rispetto al testo» dichiarò il regista Manfred Wekwerth in un'intervista distribuita dalla studiosa ai presenti, «importante per Brecht non era il personaggio, ma il personaggio rispetto agli altri personaggi. Anche l'interiorità doveva essere mostrata nell'azione». «Allo stesso modo, cioè incentrandosi sull'azione e su esempi concreti, si comportava durante le prove» ha spiegato Ottolenghi, «non era un maestro drammaturgico, ma colui che assemblava. E voleva farlo in modo limpido, chiaro e semplice: in una parola, amava essere naïf, quello era il suo modo di intendere il teatro».

Betty Paraboschi

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