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Mercoledì 9 Maggio 2012 - Libertà

«Il denaro è un bisogno umano». Intervista a Petrosino che interverrà domani in Fondazione

Piacenza Teologia L'economista e scrittore sarà protagonista dell'anteprima del Festival

piacenza - Non è facile, nell'epoca delle specializzazioni, far sì che un economista smetta di guardare al prodotto interno lordo per studiare filosofia. Eppure potrebbe servigli ascoltare Silvano Petrosino nell'intervento che terrà domani all'anteprima di PiacenzaTeologia 2012 dal titolo Elogio dell'uomo economico (Fondazione di Piacenza e Vigevano, Salone d'onore, ore 17.30). L'economista potrebbe, per esempio attraverso la lettura dell'ultimo libro di Petrosino Soggettività e denaro. Logica di un inganno (Jaca Book, 2012), capire qualcosa di più intorno alle dinamiche dell'homo economicus, sugli aspetti di apparente irrazionalità che sembrano muoversi nell'attuale crisi finanziaria e pesare sempre di più in un mercato che fino a poco tempo fa veniva considerato fattore di razionalizzazione della convivenza sociale e della vita civile.
Professor Petrosino, l'economia non riesce più a spiegare l'economia. Non le sembra?
«Mi pare evidente da sempre; a tale riguardo conviene ricordare il grande linguista Emile Benveniste che, analizzando il linguaggio economico, osservava che ci si sbaglia grossolanamente quando si pensa che le nozioni economiche si riferiscono solo a bisogni materiali che bisogna soddisfare. Invece, continua Benveniste, l'economico è legato a rappresentazioni molto più vaste che mettono in moto le relazioni umane e quelle con la divinità».
Eppure nel suo intervento lei pronuncerà un "elogio dell'uomo economico". In che senso?
«Non dobbiamo lasciarci trarre in inganno dal senso non materiale delle nozioni economiche. Infatti lo stesso Benveniste, contrastando ogni retorica vacuamente spiritualizzante dei rapporti umani, descrive l'organizzazione "economica" della società facendo riferimento alla condivisione del nutrimento e del culto».
Mi potrebbe chiarire in che senso questi modi di organizzazione risultano, come lei dice, "economici"?
«La "condivisione" evoca subito l'idea di una misura necessaria ai rapporti umani, quello che più genericamente chiamiamo giustizia. Giustizia come "giusta misura" a cui l'economia rimanda e sulla quale vorrebbe costruire i rapporti, diciamo così, di "scambio" tra persone. Ma è forse qui che noi incontriamo quello che lei giustamente notava in precedenza, cioè il fallimento dell'economia: fallimento nella misura in cui l'economista cerca inutilmente di definire un ideale astratto di esattezza, di correttezza, o, se vogliamo, un prodotto interno lordo della felicità. In altre parole: l'economista rischia di interpretare la "giusta misura" solo in termini matematici, di esattezza matematica».
Ci spiega il motivo di questo fallimento?
«Mi sembra che non si possa fare a meno di riconoscere che questo ideale astratto di esattezza non corrisponde all'esperienza umana, è un calcolo che non spiega i suoi movimenti fondamentali del "raccogliersi" e dell'"essere accolto", dell'appropriazione e dell'ospitalità. Movimenti, questi, che determinano in modo radicale la logica del profitto e la logica del dono. In questo senso dobbiamo essere chiari: è necessario confutare qualsiasi interpretazione che, come avviene purtroppo talvolta tra gli economisti, riduce le dinamiche del desiderio, cifra dell'umano, a quello del bisogno, cioè della semplice soddisfazione, come all'opposto dobbiamo anche contrastare chi sottovaluta, e all'estremo rifiuta, l'irriducibile materialità, appunto "economica", che agisce nei rapporti umani: l'uomo infatti "misura", non può fare a meno di misurare, tuttavia all'interno dell'economia egli deve misurare "economicamente" e non "matematicamente"».
Quello che lei dice mi ricorda una felice espressione di Lévinas, quando scrive che l'uomo vive "di buona zuppa". Le sembra pertinente?
«Il passaggio da Lèvinas è irrinunciabile. In quel brano che lei ha citato, noi leggiamo una duplice intenzione. Da una parte Lévinas afferma che l'uomo vive d'aria, di luce, di spettacoli, di lavoro, di idee, di sonno, ecc. Quasi come a dire che tutto questo va preso molto sul serio, che non sono affatto, questi, dei "resti" dell'esistenza. Ma, d'altro canto, subito solleva un problema. Infatti, se è vero che noi viviamo di tutti questi godimenti, essi agiscono in modo particolare: non sono mezzi come la penna è un mezzo rispetto alla lettera che permette di scrivere, e neppure scopi come la comunicazione è lo scopo della lettera che scrivi».
E qui mi sembra che sorge il problema, perché in caso contrario l'economia sarebbe una scienza esatta e non umana, e l'uomo agirebbe sulla terra come le formiche nel formicaio e le api nell'alveare…
«E invece non succede, perché la legge del godimento che guida l'uomo non è tuttavia in grado di esaurire il suo desiderio, il che vuole anche dire che ciò che l'uomo desidera non è mai semplicemente ciò di cui ha bisogno. Il desiderio umano non si risolve mai nella soddisfazione di un bisogno attraverso il possesso di un oggetto. Ogni adulto più o meno consapevole di se stesso conosce questa verità. Tale meccanismo è molto sottile. Dice innanzitutto che la scena aperta dal desiderio è sempre occupata da un dramma: la "mancanza" che abita il desiderio non è interpretabile nei termini di un'"assenza" di un oggetto; ma dice anche che l'uomo cercherà sempre di dare un nome, per trovare un appoggio, a ciò di cui non conosce il nome: è il fantasma in cui ogni uomo trova un sostegno al proprio desiderio».
Mi traduce il suo pensiero in termini economici?
«Basta riflettere sul senso del denaro, che non è un oggetto, per cui la sua identità è data dalla capacità che gli appartiene di entrare in possesso di ogni altra identità. Se la produzione di forme fantastiche che sostengono il desiderio esige il riferimento ad oggetti infiniti, ecco che il denaro, per la sua capacità di farsi da tramite, diventa il fondamentale meccanismo di alimentazione di questo processo. Se noi oggi assistiamo agli eccessi dei valori borsistici, comunque dobbiamo ricordarci che, come sostiene Viderman, "il denaro non è mai folle", ma esprime le fondamentali modalità dell'esperienza umana. Il denaro, dunque, non è folle ma può facilmente far diventare folli».

Enrico Garlaschelli

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