Sabato 24 Marzo 2012 - Libertà
Anderson: «La musica per i piedi e lo spirito»
Piacenza Jazz Fest: intervista al grande trombonista stasera al President con la sua Pocket Brass Band
piacenza - «L'ispirazione alla base del mio gruppo Pocket Brass è molto semplice: è il mio sfrenato amore per le "marching brass bands", le bande di ottoni di New Orleans, che suonano mentre camminano. Amo quella musica, perché è musica per i piedi ma anche per lo spirito: spinge al ballo, ma allo stesso tempo parla del Paradiso. E io voglio tutte le e due le cose! ».
Così il cinquantanovenne Ray Anderson da Chicago (l'uomo che la Penguin Guide to Jazz on CD definisce "il più eccitante trombonista della sua generazione" ed è stato incoronato per cinque anni consecutivi "miglior trombonista" da Down Beat, la più autorevole rivista jazz del mondo) definisce la sua Ray Anderson's Pocket Brass (bellissimo nome: qualcosa come "fanfara tascabile"), il gruppo con cui ha pubblicato un disco formidabile come The sweet Chicago suite e che lo vede affiancato da tre fenomeni: il celeberrimo trombettista Lew Soloff (ex-Blood, Sweat & Tears ed ex-Manhattan Jazz Quintet), lo stupefacente Matt Perrine (massimo virtuoso mondiale del sousaphone, la tuba "ad anello" che è il tipico "basso" delle bande) e l'esperto batterista newyorkese Eric McPherson, che ha suonato, tra gli altri, con Jackie McLean.
Stasera alle 21.15, al Teatro President, Ray Anderson e i suoi Pocket Brass saranno protagonisti di un concerto organizzato dal Piacenza Jazz Fest (promosso dal Piacenza Jazz Club presieduto da Gianni Azzali con il patrocinio del ministero per i Beni e le Attività Culturali e il sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano, della Regione, della Provincia, del Comune di Piacenza e di sponsor privati) in collaborazione con il festival regionale Crossroads. Una serata che, sulla carta, si annuncia davvero eccezionale per gli appassionati. Unica "istruzione per l'uso": attenti a non farvi fuorviare dall'accattivante auto-presentazione citata all'inizio: Anderson non ha un approccio "convenzionale" alla tradizione di New Orleans, ma la rilegge in mille salse grazie alla sua geniale, spiritata creatività, e ha un "pedigree" di sperimentatore radicale (non va dimenticato che il nostro è cresciuto alla scuola "selvaggia" dell'Association for the Advancement of Creative Musicians e che è stato un braccio destro di Anthony Braxton).
Lei ha una reputazione di jazzista di ultra-avanguardia. Come riesce a conciliarla con il suo amore per la tradizione popolare di New Orleans?
«Nella mia carriera ho avuto a che fare con molti tipi di musica. Ma non ho mai perso d'occhio la musica "da ballare", come ho fatto nel mio lavoro con il pianista rhythm'n'blues Dr. John o con il mio quartetto Alligatory Band, votato alla musica tradizionale americana. Ho studiato con un musicista intellettualissimo come il clarinettista Jimmy Giuffre e allo stesso tempo, da ragazzo, ascoltavo James Brown e Sly Stone, con il loro funk che grondava sesso da ogni solco dei dischi. E io ho sempre cercato di combinare insieme tutte le influenze attraverso le quali, pian piano, sono diventato me stesso».
Lei ha un uso del trombone che è staordinariamente "vocale", grazie anche alle tecniche anticonvenzionali che lei ha introdotto o sviluppato. Il suo stile ha avuto degli ispiratori?
«Il mio approccio allo strumento è ricalcato sul modello dei trombonisti dei vecchi tempi, che da bambino ascoltavo nella collezione di dischi di mio padre Phil, un docente universitario di teologia. Tra i più cari al mio cuore ci sono Vic Dickenson, Trummy Young, Dicky Wells, Jack Teagarden, Tricky Sam Nanton, Quentin "Butter" Jackson: li adoravo, perché sembravano sempre suonare per divertirsi».
Visto che lei è figlio di un teologo, mi sento spinto a chiederle: lei crede in Dio, o comunque, in una Intelligenza superiore? E, se sì, che rapporto crede che abbia con la musica?
«Ho un po' paura della parola "Dio", che significa così tante cose diverse per tante persone diverse. Ma credo che, nell'universo, esista Qualcopsa che va oltre la nostra comprensione. E credo fermamente che, come ci ha detto Albert Ayler, "la musica è la forza guatritrice dell'universo". Il compito della musica è creare armonia nel mondo, e il mondo ha un grande bisogno di armonia».
Alfredo Tenni