Giovedì 12 Aprile 2012 - Libertà
Vacis: «I miei Rusteghi senza donne»
Parla il regista del lavoro goldoniano in scena domani e martedì al Municipale
di DONATA MENEGHELLI
I Rusteghi è il testo più "nero" scritto da Goldoni, divertentissimo ma feroce»: così lo definisce il regista Gabriele Vacis che all'opera goldoniana ha dedicato un'originale rilettura, in scena domani e martedì sera alle 21 al Teatro Municipale per l'ultimo appuntamento della stagione di prosa Tre per te diretta da Diego Maj col Teatro Gioco Vita. Prodotto dal Teatro Stabile di Torino e dal Teatro Regionale Alessandrino, lo spettacolo di Vacis, che porta l'eloquente sottotitolo I nemici della civiltà, è una rielaborazione della commedia che intreccia storia personale e storia del teatro: dai suoi burberi nonni bergamaschi al Cesco Baseggio della televisione in bianco e nero della sua infanzia. Gli interpreti sono Eugenio Allegri, Mirko Artuso, Natalino Balasso, Jurij Ferrini, a cui si aggiungono Nicola Bremer, Christian Burruano, Alessandro Marini, Daniele Marmi. La composizione delle scene, i costumi, le luci e la scenofonia sono di Roberto Tarasco.
Gli attori della compagnia incontreranno il pubblico martedì alle 17.30 al Teatro dei Filodrammatici (ingresso gratuito) nell'ambito degli incontri del ciclo Ditelo all'attore, condotti dal critico teatrale Enrico Marcotti, organizzati da Teatro Gioco Vita con il contributo della Fondazione di Piacenza e Vigevano.
Come si sarà notato, il cast è composto esclusivamente da uomini, nonostante nella commedia una parte decisiva sia svolta dalle donne, in particolare Felicia che riesce a far incontrare i due giovani promessi sposi Lucietta e Filippetto, contro la volontà dei rusteghi: Canciano, Leonardo, Simon e Maurizio. Chiediamo il perché di questa scelta al regista.
«Ci sono più ragioni - spiega Vacis - Anzitutto per la mia memoria delle commedie di Goldoni che vedevo in tv, quelle di Cesco Baseggio, dove mi sembravano tutti uomini. Poi perché ho l'impressione che questa commedia sia davvero immersa in un mondo maschilista, in cui le donne sono assenti. Mi sembrava poi un segnale per dire: gli uomini si mettano nei panni delle donne. Preciso che non è uno spettacolo en travesti, perché la la cultura en travesti enfatizza e fa caricatura delle donne. Qui invece quando gli attori fanno ruoli femminili, non cambiano il proprio atteggiamento. L'esito dell'operazione è stato interessante: Juri Ferrini che fa l'arringa di riscatto delle donne, insomma il fatto che sia un uomo che la dice, produce un bell'effetto. Goldoni era certamente un uomo che capiva le donne. Anche questo ne fa un grande autore».
Da dove nasce la scelta di un'ambientazione in un magazzino, con materiale imballato, arnesi da lavoro?
«Anche qui entrano vicende personali. Sono stato a Venezia per il Carnevale (la commedia è ambientata durante il Carnevale) e sono sempre capitato con un tempo brutto. Volevo anche evocare il fatto che i rusteghi vivono nei magazzini, a contatto con la loro "roba", gli oggetti dei loro commerci. D'altra parte nella Venezia commerciale di allora, non v'era divisione tra casa privata e magazzini».
Avete scelto (con Vacis, firma l'adattamento Antonia Spaliviero) di tradurre in italiano questa commedia originariamente in lingua veneziana. Ma una scena, quella posta in apertura dello spettacolo, rimane in dialetto veneziano. Perché?
«Conosco imprenditori del celebratissimo Nord Est, che girano il mondo eppure nella loro quotidianità continuano ad avere rapporti tribali assolutamente da paese: parlano dialetto, fanno discorsi da osteria, vogliono le donne a casa. C'è questa contraddizione forte: da una parte hanno l'intelligenza e l'abilità per vendere in tutto il mondo, dall'altra una mentalità chiusa per il loro privato».
Il teatro, ancora una volta, rivela e pone domande all'oggi. Il teatro è presente anche in questa commedia, dove viene evocato dalle donne, che lo amano, mentre i rusteghi lo detestano.
«Voglio ricordare una frase significativa che pronuncia Lucietta, dicendo: "Mio padre in casa sua non vuol niente di bello". Ecco, rivela questo rifiuto dell'arte, di ciò che è giudicato superfluo rispetto al produrre. Si rifiuta la bellezza, in una Venezia che ne è piena. Ma quella dei quattro rusteghi è proprio la Venezia che si chiude nei magazzini».
Donata Meneghelli