Domenica 26 Febbraio 2012 - Libertà
«Canto le canzoni del Clan perché parlano dell'Italia»
Peppe Servillo, spalleggiato da una formidabile band, oggi a Le Rotative in uno spettacolo incentrato su alcuni celebri brani di Celentano e soci
di ALFREDO TENNI
«Il concerto che terrò a Piacenza con i miei splendidi compagni di strada è ispirato alle canzoni del Clan di Adriano Celentano: una esperienza musicale che è stata unica nel nostro Paese».
Parola di Peppe Servillo, cantante della Piccola Orchestra Avion Travel e gran maestro della canzone italiana più raffinata e intelligente. Sarà il cantante casertano, spalleggiato da un dream team di formidabili musicisti jazz (il suo sodale di lungo corso Furio Di Castri al contrabbasso, Fabrizio Bosso alla tromba, l'argentino Javier Girotto ai sax, Rita Marcotulli al pianoforte e Mattia Barbieri alla batteria), che oggi pomeriggio alle 18.30, allo spazio Le Rotative di via Benedettine 66, aprirà il Piacenza Jazz Fest 2012, organizzato dal Piacenza Jazz Club presieduto da Gianni Azzali con il patrocinio del Ministero per i beni culturali e il sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano, della Regione, del Comune, della Provincia, di Fondazione Libertà e di sponsor privati. Memorie di Adriano è il (gran) titolo di questo spettacolo musicale che nasce sotto il segno del Molleggiato.
La scaletta di questo spettacolo di «teatro da camera jazz» sarà infatti basata sui classici incisi negli anni Sessanta da Adriano Celentano e dal suo Clan: un "Clan" che non era solo la ragione sociale dell'omonima etichetta discografica, ma era anche una pittoresca "compagnia di giro" senza precedenti per l'Italia (ma con un vago precedente nel "Rat Pack" che circondava Frank Sinatra). Eccitante miscuglio, astuto e naïf al tempo stesso, di italianità e di rock vero (il grandissimo Demetrio Stratos, prima di fondare gli Area, si fece le ossa cantando Pugni chiusi nei Ribelli, il gruppo nato come spalla di Celentano), il Clan iniziò a sbriciolarsi a fine decennio, tra contrasti personali e faide giudiziarie. Ma è rimasto a noi posteri un gruzzolo di canzoni che fanno parte dei ricordi di ogni italiano e che Peppe Servillo e soci sapranno rendere ancora più belle: già lo pregusta chi ricorda (oltre all'abbagliante bellezza della cover di Una storia d'amore che gli Avion Travel erano soliti proporre dal vivo) un'altra avventura di Servillo e Di Castri: Uomini in Frac, esaltante viaggio nel "pianeta Modugno" che fa da precedente a queste Memorie di Adriano.
Servillo, lei e Di Castri non siete nuovi a questi "viaggi nel passato": come mai, dopo Modugno, avete scelto di misurarvi con Celentano?
«Adriano Celentano è uno dei personaggi chiave della musica popolare italiana del Novecento. Ma il nostro concerto è un omaggio a tutto il Clan, un piccolo mondo che, al di là della figura centrale di Celentano non è stato tenuto nella giusta considerazione. Nel Clan c'era una straordinaria concentrazione di talenti: parolieri come Luciano Beretta e Miki Del Prete, un arrangiatore come Detto Mariano, musicisti brillantissimi. E le gemme non erano solo nel repertorio di Celentano: penso a quel capolavoro che è Canzone di Don Backy».
Lei ha detto che quella del Clan è stata «una stagione unica, originalissima» della canzone italiana. In che cosa è consistita, secondo lei, questa "unicità"?
«Il Clan ha messo insieme le novità più eccitanti ed esotiche che venivano d'Oltreoceano, soprattutto dal mondo rock, con elementi profondamente radicati nella canzone popolare italiana: un connubio che si avverte, per citare un brano famosissimo, in Il ragazzo della via Gluck».
Quali sono, per lei, le canzoni-simbolo del Clan?
«Ne cito due, lontanissime l'una dall'altra, proprio perché sono un buon esempio dei due poli tra i quali si snoda quell'esperienza: Una carezza in un pugno, che sembra uno standard, ha la raffinatezza melodica della grande canzone americana; e Una storia come questa, che ha una densità di testo tipica della nostra tradizione popolare».
Quelle del Clan sono canzoni "rock", nel senso lato del termine. Ma, nella vostra formazione, manca proprio lo strumento-feticcio del rock: la chitarra.
«È vero. Non è stato voluto, è stato un caso. Ma questo elemento casuale si è rivelato molto interessante, perché ci ha obbligati all'originalità, ci ha costretti a "personalizzare" molto gli arrangiamenti, distanziandoci molto dagli originali. Ma abbiamo avuto una grande soddisfazione: durante le nostre prove ci sono venuti a trovare due nomi storici del Clan, il chitarrista Gino Santercole e il batterista Gianni Dall'Aglio, che hanno avuto parole di elogio per le nostre riletture. Grazie anche alla loro "benedizione", il nostro spettacolo Memorie di Adriano, prossimamente, diventerà un disco».