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Lunedì 12 Luglio 2004 - Libertà

Ernani: son tutti leoni di Castiglia

Vigoleno - Entusiasmo per l'allestimento dell'opera verdiana, Neuhold con sicurezza. Coro impeccabile. Da Giuliacci alla Pellegrino ai comprimari: ottime esecuzioni

Alla "prima" dell'Ernani di Verdi allestito al Castello di Vigoleno, l'altra sera, un vento sorprendentemente siberiano per il mese di luglio ha soffiato per tutto il tempo. Artisti e pubblico, in più di un momento, hanno seriamente temuto che si potesse ripetere la disavventura dell'anteprima a inviti di giovedì scorso, quando la pioggia maligna interruppe la festa alla fine del secondo atto (coi musicisti che, per proteggere dall'umidità il legno degli strumenti, abbandonavano l'orchestra "in corsa" come nella Sinfonia Gli addii di Haydn).
Ma i cantanti in scena, a dispetto delle condizioni proibitive, sono stati protagonisti di una prova collettiva memorabile. E il fuoco sacro che li animava è riuscito a trasmettere il proprio calore agli intirizziti spettatori della platea montata sulla pedana di fronte al Castello (per la "prima" si è registrato il "tutto esaurito"), che hanno salutato gli artisti con autentico entusiasmo: diversi applausi a scena aperta con grida di "brava!" e "bravo!", più un'ovazione finale di 10 minuti abbondanti.
L'Ernani prodotto dalla Fondazione Toscanini per il Festival delle Terre Verdiane 2004 si pone ai massimi vertici qualitativi finora attinti dalle stagioni liriche estive di Vigoleno, insieme col Macbeth dell'anno scorso. A mio avviso, anzi, la riuscita dell'Ernani di quest'estate supera anche quella del Macbeth del 2003, che pure si reggeva sul richiamo e sulle garanzie di finezza interpretativa portate in dote da una star internazionale come il protagonista Roberto Servile.
Ad avvincere e a convincere, in questo Ernani, non è il carisma di una singola vedette ma la felicità del progetto complessivo, l'amorosa cura dei particolari, il piacere quasi fisico (e tale da commuovere lo spettatore per la sua rarità, in tempi tristi per le voci) di ascoltare un'opera cantata irresistibilmente bene dalla prima all'ultima nota. Col citato Macbeth, comunque, questo allestimento presentava una significativa garanzia di continuità incarnata nei due primi responsabili dello spettacolo: il direttore d'orchestra Günter Neuhold e il regista Riccardo Canessa. Il primo, alla guida dell'Orchestra Toscanini, si è proposto - con successo - di assecondare il "passo" vibrante e adrenalinico impresso da Verdi ai drammatici concertati che costituiscono il tessuto connettivo di quest'opera cercando, al contempo, di sfumare quegli episodici attacchi di "volgarità musicale" che a tratti appesantiscono ancora la scrittura orchestrale di un compositore trentenne che pure si mostra già ispirato fino al sublime con le voci (Neuhold, in compenso, è attento a conferire delicatezza di tinte ai momenti di effusione lirica, come l'ingresso di Elvira nel primo atto).
E Canessa firma una buona messa in scena apertamente "tradizionalistica", che andrebbe portata in tournée a edificazione non tanto dei cattivi registi lirici "antitradizionalisti", quanto dei cattivi registi del partito opposto: un esempio di come si possa fare teatro d'opera "tradizionale" senza rassegnarsi a mettere in soffitta la creatività e, soprattutto, senza scadere nel cliché da cartolina. Una regia elegante e serrata nei movimenti scenici, che sottolinea plasticamente il gioco delle mutevoli alleanze fra i tre rivali Ernani - Carlo - Silva senza cadere in forzature didascaliche, ben assecondata dalla scenografia di Arcangela Di Lorenzo (pochi, essenziali riquadri mobili, con fascinose decorazioni da oreficeria moresca), dai costumi (bellissimi!) di Artemio e dalle luci di Nevio Cavina.
Ma a issare questo Ernani sugli scudi, va ribadito ancora una volta, è stata la compagnia di canto. Piero Giuliacci, alle prese con una parte tenorile assolutamente temibile, è un Ernani credibile e appassionato: la sua emissione patisce forse qualche lieve forzatura attorno al passaggio di registro, ma la sua è una delle più belle voci di tenore lirico spinto che si possano ascoltare oggi in Italia (e il Si naturale di tradizione che ha sfoggiato nella scena col coro del primo atto è molto bello). Il baritono Vladimir Stoyanov (molto applaudito dopo Oh, dè verd'anni miei) è un Carlo da manuale, nella sua nobiltà di dettato e nella finezza della caratterizzazione "giovanile" e "amorosa" del personaggio.
Bulgaro come Stoyanov, il giovanissimo basso prodige Orlin Anastassov (letteralmente acclamato dopo Infelice, e tu credevi) plasma un Silva di torreggiante imponenza fisica e di imponenza vocale ancor più torreggiante: perfezioni la sua dizione italiana e, come si suol dire, spaccherà il mondo. Ma a incantare il pubblico (e il sottoscritto) più di tutti è stata l'Elvira di Katia Pellegrino, che ha tenuto la platea in pugno fin da Ernani, Ernani, involami: la bellezza della voce in tutti i registri, la magistrale finezza sfoggiata nei passaggi d'agilità, l'espressività da vera eroina verdiana, la presenza scenica autenticamente regale dicono che questa cantante (con cui Piacenza intrattiene una corrispondenza d'amorosi sensi che data dal concerto di riapertura del Municipale restaurato nel gennaio 2001) è già una stella.
"Fida è la rocca come il suo signore" potrebbe essere, oltre che un verso del libretto, il motto del Coro del nostro Municipale diretto da Corrado Casati: in un'opera assai impegnativa per i coristi, non ha sbagliato un colpo e ha fatto il pieno di applausi dopo Si ridesti il leon di Castiglia. Se la serietà di un allestimento lirico si vede dalla bravura dei comprimari, infine, qui siamo andati sul velluto: il basso villanovese Davide Baronchelli (Jago), il tenore Dario Magnabosco (don Riccardo) e il mezzosoprano Renata Campanella (Giovanna) sono tre giovani che potrebbero tranquillamente fare le "prime parti" in un allestimento di buon livello.

Alfredo Tenni

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