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Domenica 12 Febbraio 2012 - Libertà

Una vita nel segno del Duce

Lo storico Ferdinando Bergamaschi presenta domani all'auditorium della Fondazione "Amando Mussolini", in cui racconta la vita da fascisti dei suoi avi

piacenza - La Bassa, il Grande Fiume, gli anni in cui il regime si afferma, una borgata tra Piacenza, Cremona e Parma, più o meno nei pressi di Pizzighettone tra arie verdiane e itinerari cari a Guareschi.
Da quelle parti il fascismo ha intaccato e non poco la società civile. Storie che sembrano appartenere a un altro mondo, ma che Ferdinando Bergamaschi, giovane autore piacentino e storico attento, ha provato a raccontare nel suo primo libro, Amando Mussolini (Seb Edizioni, pp. 360, prefazione di Francesco Mastrantonio), che sarà presentato domani alle 18 all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano.
Il libro nasce dall'idea di raccontare le vicende di due uomini, Vittorio e Ferdinando Bergamaschi, detto Nanòn (il prozio e il nonno paterni), dal 1895 (l'anno di nascita di Vittorio) fino al 1962 (l'anno in cui muore Nanòn), e hanno come teatro oltre che la Bassa Padana, l'Isonzo, il Piave, il Carso, l'Albania, Milano, Parma, Piacenza (la casa di famiglia, la "Casa Binaca", a Besenzone), Roma, Napoli, Salò; inoltre un intero capitolo è ambientato tra Como, la Val Camonica e la Valtellina.
L'esistenza tribolata e difficile per questi due uomini che vissero fino al paradosso un sentimento che fu anche passione politica per un ideale, quello di Mussolini e del fascismo. Figli di un padre socialista che diventa proprietario terriero del podere Casa Bianca, entrambi si lanciano nel turbinio degli eventi di quegli anni. Vittorio è un socialista interventista e aderisce nel 1914 ai Fasci d'Azione fondati dal sindacalista rivoluzionario Filippo Corridoni e dal socialista interventista Benito Mussolini. Vittorio parte volontario, è un soldato di valore, decorato, e partecipa anche alle azioni sull'Isonzo, sul Piave e poi viene spedito in Albania. Al suo ritorno, finita la guerra, la situazione in Italia è quella ben definita dal concetto di Vittoria mutilata, tra grandi tensioni sociali e forti scontri tra comunisti e fascisti.
Ferdinando Bergamaschi è di parte, diciamolo subito, con questo libro fa outing, non nasconde nulla e soprattutto non teme niente perché non ha nulla da temere e ricorda quando nell'ottobre del 1919, alcune migliaia di leghisti rossi assediano la "Casa Bianca" per sterminare i Bergamaschi, i suoi avi. Vittorio, assieme al fratello Ferdinando e con l'aiuto dei contadini e di una dozzina di soldati organizza la difesa, ma sono storie difficili e violente. Nel 1921 Vittorio, pioniere del fascismo piacentino e parmense e capo squadrista, viene misteriosamente (?) assassinato la notte di Carnevale. Ferdinando diventa un capo squadrista e gli anni dal 1922 al 1939 vengono raccontati dall'autore attraverso i carteggi di Nanòn con gli amici più fedeli; durante la Repubblica Sociale, Nanòn è comandante della brigata nera di Cortemaggiore.
Drammatiche nella descrizione dell'autore anche le ore della cattura del Duce, mentre gli ultimi capitoli sono dedicati agli anni che vanno dal 1948 al 1962 in cui Nanòn, agricoltore all'avanguardia e fascista autentico non rinnega Mussolini, anzi.
Nel libro si dà anche risalto ad altri illustri personaggi: Roberto Farinacci, Bernardo Barbiellini Amidei, Alessandro Tavolini, Vincenzo Costa, ma anche Giovannino Guareschi (grande amico di Nanòn), Nicola Bombacci, tra i fondatori del Partito Comunista, che andrà a morire a Dongo per Mussolini, passando per altri personaggi fedelissimi di Nanòn, come Urlandèn e Nasalaria e la sua fedelissima compagna di vita: Dafne.
Il lavoro è storico, la mole di documenti è immane, sono comunque "affari di famiglia" e Ferdinando Bergamaschi ha voglia di scoperchiare tutto. Lo fa con serietà, ma quando si compiono operazioni come questa e si tirano fuori gli scheletri dagli armadi, il rischio è di rimanere invischiati in storie che appartengono ormai a un passato remoto. Qui è storia di un regime, di consapevolezze e di certezze tinte di nero. Rimane il lavoro coraggioso di un giovane autore che ha voluto fare chiarezza anche nelle storie di casa, nella storia di una generazione che ha creduto, amando (oltremodo), Mussolini.

Mauro Molinaroli

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