Domenica 4 Luglio 2004 - Libertà
S'indaga sul mistero del tondo
I rapporti tra i Landi (piacentini) e gli Appiani d'Aragona (toscani) al centro degli approfondimenti degli esperti. I rapporti tra i Landi (piacentini) e gli Appiani d'Aragona (toscani) al centro degli approfondimenti degli esperti. Il giallo: come arrivò da Firenze a Bardi
Due donne di leggendaria bellezza, un sommo artista, un facoltoso committente, potenti feudatari e un dipinto finito chissà come e perché dalla capitale del Rinascimento in un castello arroccato sulle pendici dell'Appennino. Da tempo gli studiosi si interrogano sulle vie seguite dal tondo di Botticelli per arrivare a Piacenza. Se sulla nascita dell'opera e la sua datazione potrà gettare nuova luce il restauro tuttora in corso, sugli itinerari che hanno guidato il prezioso dipinto dalla bottega del Botticelli fino all'Emilia ulteriori apporti potrebbero venire solo dalla ricerca documentaria. Qualche importante elemento è stato recentemente aggiunto dagli studi di Stefano Pronti e di Enrico Petrucciani, che hanno presentato alla giornata di studi "Il tondo di Botticelli", a Palazzo Farnese lo scorso maggio, le loro ultime acquisizioni sulla questione, prospettando affascinanti piste di ricerca, sulle quali i lavori sono ancora in corso. Al dato certo della collocazione nel 1860 nel castello di Bardi, già feudo dei Landi, Pronti aveva aggiunto già nel 1988 la data del 22 febbraio 1642, nella quale il dipinto risultava trovarsi nell'oratorio del castello di Federico II Landi. Una scoperta che lasciava aperti tanti interrogativi. "Le opere del Botticelli erano infatti nate per l'entourage mediceo e delle grandi famiglie toscane. I Landi - si chiedeva Pronti - come ne erano entrati in possesso?" Sulle tracce dei passaggi patrimoniali, nei primi 150 anni di vita del tondo (eseguito nel 1476-77 secondo alcuni storici dell'arte, negli anni '80 secondo altri) si sono ritrovati, partendo l'uno dal versante piacentino dei Landi, l'altro da quello toscano-emiliano degli Appiani d'Aragona, sia Stefano Pronti sia Enrico Petrucciani. Le due strade si sono intrecciante, lasciando intravedere la possibilità di dare finalmente una risposta alla domanda sul perché il tondo, oggi al Museo Civico, sia giunto nel Piacentino. La chiave starebbe nelle complesse vicende dinastiche degli Appiani d'Aragona, signori di Pisa (1392 - 1399), principi di Piombino (1399 - 1815) e con un influente ramo a Piacenza dal 1536. Per proseguire in una seria ricerca documentaria, nei giorni scorsi i Comuni di Piombino, Piacenza e Pisa, insieme all'Archivio di Stato di Piacenza, hanno firmato un protocollo d'intesa, per "sostenere un progetto culturale sulla storia della dinastia Appiani d'Aragona, a partire dallo studio del loro archivio privato, localizzato attualmente a Piacenza". Un'iniziativa che va ad aggiungersi al progetto "Archivio Privato Appiani d'Aragona", promosso dal Comune di Piombino ed affidato a Petrucciani. "Attraverso la condivisione di una ricerca archivistica congiunta - spiega l'assessore alla cultura del Comune di Piacenza, Stefano Pareti - verrà messo in luce il passato di Piombino e di Pisa, approfondendo la storia di una famiglia, gli Appiani d'Aragona, la cui linea più florida si stabilì nel XVI secolo nella nostra città, con indubbi influssi anche sulle vicende locali. Il contributo del Comune di Piacenza è reso possibile dalla sponsorizzazione della Fondazione di Piacenza e della Tipleco". Sono tanti i rapporti che i ricercatori dovranno indagare. Dalle relazioni di Petrucciani e di Pronti al convegno erano stati ribaditi alcuni punti fermi. E' noto che Sandro Botticelli si ispirò ai volti di Simonetta Cattaneo, sposata Vespucci (cognata di Jacopo III Appiani d'Aragona, che l'aveva quasi adottata come una figlia) e di Semiramide Appiani d'Aragona, moglie di Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, tra i maggiori committenti del Filipepi. Il nipote di Semiramide, Girolamo, porterà il casato a Piacenza.