Martedì 27 Settembre 2011 - Libertà
Voce agli umili e agli emarginati
La Trasgressione Band e i versi poetici di Fabrizio De Andrè. festival del diritto Un incontro carico di suggestioni nella Sala dei Teatini
piacenza - C'è chi ha cercato l'umanità fra i vicoli di una città vecchia e chi l'ha trovata fra le pieghe buie di una società dimenticata. Salvo poi riunirsi, in una Sala dei Teatini straripante di gente come in poche occasioni, nell'ambito di un Festival del Diritto ormai agli sgoccioli.
È stato un incontro carico di suggestioni, quello fra Fabrizio De Andrè e la Trasgressione Band, che l'altra sera si è svolto ai Teatini sotto lo sguardo meravigliato e ammaliato dei tanti piacentini che hanno assiepato la sala: un connubio tessuto sul filo dell'utopia e della realtà che ha permesso al complesso nato dal Gruppo della Trasgressione operante nel carcere di San Vittore dal settembre del 1997 di dare voce agli umili e agli emarginati attraverso i versi poetici (perché di questo si tratta e non solamente di canzoni) dell'indimenticato Faber.
Claudio Messineo al basso, Alessandro Radici e Ippolito Donati alle chitarre, Paolo Donati alle percussioni, Silvia Casanova e Angelo Aparo come voce: ecco la vera Trasgressione Band che, sotto la guida dell'istrionico Aparo, ha saputo accompagnare gli spettatori in un viaggio lungo un sogno, durato lo spazio di una sera. E, in fin dei conti, è riuscita anche a non far rimpiangere troppo colui che aveva un mondo nel cuore e, a differenza del "matto" di cui cantava le tragedie e i sogni, riusciva a esprimerlo benissimo con le parole.
Ma ad andare in scena è stato qualcosa di molto più prezioso e ricco di un tributo a De Andrè: il racconto dell'emarginazione non si è fatto solo canzone, ma ha preso corpo, voce e vita attraverso le narrazioni di chi la solitudine e l'isolamento dalla società li vive sulla propria pelle giorno dopo giorno. Ecco allora le letture di poesie, componimenti, versi: più semplicemente frammenti autentici e poetici di vita dietro le sbarre, quelle delle carceri di Piacenza, di Milano e di Padova. Non a caso a organizzare la serata ci ha pensato lo Svep (unito in una comunanza di nobili intenti alla Fondazione De Andrè) che, attraverso l'infaticabile Carla Chiappini, da anni segue le vicende, i percorsi e le speranze di chi ha sbagliato ma giustamente (e dolorosamente) paga con la detenzione: le storie cantate si sono allora alternate ai sentimenti dei vari Enrico, Pasquale, Vito ed Ernesto.
Ciò che li ha portati dietro le sbarre non importa in questa sede: ciò che conta è invece quella "summa" di sogni "aperti in fondo al cuore", talvolta belli "come il sole che sorge", buffi o anche frantumati e poi raccolti in un sacco "filato con filo della speranza". Contano il bambino "che non riesce a trovarsi" e la prigione in cui non è possibile fingere, la volontà di comprendere il prossimo perché solo lì si trova un barlume di serenità e le storie immaginate e reali di Spoon River: a raccontarle ci hanno pensato in tanti, da chi l'attrice la fa di professione come la Stagnotta Sara Marenghi a chi invece nella vita si è dedicato all'insegnamento come Alberto Gromi e Donata Horak o addirittura alla politica come gli assessori Giovanna Palladini e Giovanni Castagnetti; e ancora Gianni Bonadè, Fabrizio Statello, Elena Valdini e Ugo Tassone. Sono stati loro alcuni dei protagonisti della serata, insieme a grandi e poetici successi del repertorio "sociale" del Faber, da Don Raffaè a La guerra di Piero, da Il sogno di Maria a Ho visto Nina volare fino all'immancabile Bocca di rosa che ha chiuso il concerto-spettacolo.
Ma più di tutti, per una sera, protagonisti sono state le voci di chi di solito non parla, è abituato a restare zitto un po' per necessità, un po' per virtù e un po' forse pure per non morire: ma certo non perché non abbia nulla da dire.
Betty Paraboschi